martedì 19 luglio 2011

Porca miseria...

Io a quest'ora dovevo essere reduce da una festa di musica e amici, con le orecchie ancora stordite e la mente a quel pezzo riarrangiato che solo dal vivo lo puoi sentire e che dopo un po di giorni inizi a dimenticare ma ti ricordi che era perfetto; 
esaltata dall'energia e dalla bravura, 
e invece
macché!
Va bene tutto ma a decidersi di controllare queste benedette date e scoprire solo oggi che era proprio oggi ...
e porca miseria!
Cioè stiamo parlando di questo signore qui e dei suoi degni musicisti:


dal vivo...
porca miseria!
E si che gli amici li puoi pure un po trascurare ma così è troppo.

venerdì 15 luglio 2011

Pipì, popò, papà!

Dunque: è estate, Matteo ha trentuno mesi, a settembre andrà all'asilo: è ora di provare a togliere il pannolino!
Veramente abbiamo già iniziato anche se "a tratti" cioè l'abbiamo tolto per due o tre giorni (non consecutivi) e solo per cinque o sei ore. Dice che in caso di spannolinamento  è meglio iniziare per tutta la giornata e rassegnarsi ad una decina di giorni di vita anfiba. Dice che altrimenti al bimbo si confondono le idee. Dice che i maschietti ci impiegano un po di più rispetto alle femminucce. Dice...ma a qualcun'altro, evidentemente.
Matteo difatti non trova minimamente utile privarsi di questo fedele amico e non ha ancora il più vago sospetto che tutta quell'operazione di pipì che all'improvviso salta giù potrà un giorno essere da lui diretta. Dunque non mi pare il caso di privarlo di colpo della tranquillità che il pannolino (per quanto odiato, soprattutto al cambio) gli concede, almeno finché anche io non mi sarò chiarita le idee.
Non si tratta dei soliti dubbi su come si fa e come ci si organizza (cose, peraltro, che si capiscono solo quando si coinvolge il bambino) quanto piuttosto di un groviglio emotivo che lo spannolinamento mi suscita nella misura in cui ha a che fare con l'uso e la manutenzione del sistema urinario maschile.
Un anno e mezzo fa papà ha subito un intervento per cui, il suo, è stato totalmente azzerato e per questo modo ancora un po rudimentale che ha la medicina moderna di curare alcune malattie (e fortuna che comunque c'è) ha dovuto rimparare a fare pipì. Di tutto quello che serve alla manutenzione di questo nuovo apparato mi occupo io tutti i giorni. Quando penso che tutto questo andrà avanti per il resto della sua vita mi viene la stessa vertigine che provo quando penso che l'universo è infinito. Non è per me, rifiutare questa incombenza giornaliera è il modo che papà e mamma hanno di non arrendersi alla malattia ma so bene che, se se ne presentasse la necessità, saprebbero cavarsela, è proprio per mio padre che mi dispiace; il fatto è che lui è già tormentato di suo (a dire il vero una delle persone più tormentate che io abbia mai conosciuto) e questa proprio non gli ci voleva e non riesco a non pensare al bambino che è stato, alle sue conquiste e a come la vita è strana.
Ho ancora dei sensi di colpa per non aver potuto seguire questa cosa all'inizio: penso che se non fossi stata totalmente presa da Matteo, magari saremmo arrivati prima alla diagnosi e dunque non si sarebbe presentata la necessità di un intervento così devastante. Ma oggi all'improvviso mi è venuto in mente quale fortuna sia stata per noi che questo bimbetto ci fosse. E' stata la vita che ha tenuto fuori la morte.
Festeggiare il primo compleanno di Matteo con lo spirito con cui l'abbiamo fatto è stato come cantarle in faccia: "Vai via, adesso è tempo di cantare e ballare, non ancora il tuo".
Per non parlare della vitalità che un bambino sparge attorno a se, questo suo modo di apprezzare la vita nei suoi aspetti più semplici. Io lo vedo, papà, coi suoi nipotini: si impegna talmente tanto a renderli felici che alla fine lo diventa anche lui. E non importa se poi la gioia finisce perché il sorriso di un bambino è una cosa di cui non ci si stanca mai, soprattutto se hai da recuperare tutti quelli che non hai fatto quando eri tu, bambino. 
Groviglio emotivo, appunto. E allora, in deroga alle più ragionevoli e sensate pratiche di spannolinamento, ho deciso di prenderla con calma; stiamo lavorando al metodo camp per lo spannolinamento sostenibile: sono previste soste, momentanee interruzioni nonché l'utilizzo di qualsiasi mezzo ritenuto idoneo da mamma camp ad evitare inopportune crisi di vertigine.
I piani si confondono così come le figure: papà e Matteo alle prese con la normalità che non c'è più e con quella che ancora non si riconosce tale.
Che strana la vita.


giovedì 7 luglio 2011

Domande

Ecco ci siamo: è iniziata la fase delle domande! Solo che Matteo che è un pò, come dire, unconventional (per dire che per far suonare uno xilofono non usa l'apposito martelletto ma lo adagia sul divano e poi ci salta vicino) non ha iniziato a minare l'equilibrio psichico della sua mamma col caro e rassicurante "perché", applicato, mi dicono, a  qualsivoglia evento della vita, quanto con la seguente, unica e a tratti indiscreta domanda:
"mamma sei filice?"
E' iniziato tutto quando ha capito che farmi questa domanda mi "richiamava all'ordine emotivo" quando mi arrabbiavo per qualcosa che aveva fatto. Che furbetto: prima versa l'intero flacone di bolle di sapone per terra, al che io lo sgrido, lui sopporta diligentemente e poi:"mamma sei filice?" 
Allora mamma, che proprio non sopporta quell'espressione da libro cuore tipo "che il mio papà e la mia mamma non abbiano mai a soffrire per causa mia", fa un bel respiro profondo (ma mentalmente sennò confermerebbe le ansie del pargolo) e afferma: "ma si che sono felice però non si butta tutto il sapone per terra: adesso non possiamo fare piu le bolle". Il piccolo allora conviene sulla sensatezza della risposta, invia un breve e intenso sorriso rassicurato e rassicuratorio e torna a giocare.
Ecco è iniziata così ma adesso la fatidica domanda è pronunciata a ogni minimo ma durevole mio cambiamento d'umore che viri verso toni scuri dipendendo da stanchezza, tristezza o malinconia.
Insomma non è che posso sempre rispondere che sono felice perché alle volte semplicemente non lo sono; potrei mentire spudoratamente ma Matteo è mio figlio e mi capisce, forse anche meglio di quanto io capisca lui, mi sgamerebbe subito.
Allora quello che provo a dirgli è: "Stellochietto di mamma, non si può essere sempre felici soprattutto mano a mano che si diventa grandi. Tu sei un po piccolo e un po grande ecco perché sei più bravo di mamma ad essere felice".
Siamo fermi qui dato che ancora non trovo le parole per fargli capire che la sua felicità non dipende dalla mia perché, più in generale la felicità non dipende da quello che  possiede altrimenti correrebbe il rischio di perderla continuamente e del resto non dipende neanche da quello che non ha perché cosi correrebbe il rischio di non raggiungerla mai.
Magari è ancora troppo presto. 



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