mercoledì 9 ottobre 2013

Vajont: cinquant'anni di dolore


"Il processo viene fissato per il 26 giugno. Ma in maggio i superstiti ricevono un'altra stangata: la Cassazione ha trasferito il dibattimento a l'Aquila per "legittima suspicione". Cos'è? si domanda la gente. "Hanno ritenuto che voi siete d'impiccio; potreste organizzare disordini". Sempre in maggio, la stessa Corte di Cassazione revoca il mandato di cattura per Biadene e Tonini. La speranza di giustizia dei sopravvissuti, implorata e gridata per quattro anni, si fa più tenue. Ma si continua a lottare. I consigli comunali di Longarone, Castellavazzo, Erto divulgano una "lettera aperta al popolo italiano" appellandosi al Paese, al capo dello Stato, al parlamento, alla magistratura. Ma tutto avviene, d'ora in poi lontano da loro e contro di loro. Il Vajont sta assumendo un'altra dimensione per la coscienza pubblica: è divenuto un luogo turistico da visitare. Con curiosità, forse con pietà, mai con ribellione."
"Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont" Tina Merlin


Sono passati cinquant'anni da quel 9 ottobre del 1963 giorno in cui si è verificata una delle tragedie più dolorose della storia d'Italia.
Sarei nata più di dieci anni dopo e per moltissimo tempo ho vissuto senza sapere ciò che era successo, poi nel 1997 ho visto "Il racconto del Vajont 1956/9-10-1963"


di Marco Paolini e, da allora, il Vajont è diventata parte integrante della mia storia.
Certo: la bravura di Paolini, che spiega cosa è avvenuto con semplicità e chiarezza, con un'ironia che lentamente si tramuta in drammaticità, ha avuto un peso ma la cosa sarebbe potuta finire lì e invece ho pure letto il libro dal quale lo spettacolo di Paolini è stato tratto "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont" di Tina Merlin .
La tragedia del Vajont mi è subito sembrato uno di quei drammi che non rimane sepolto dagli anni che passano, vivido nella memoria dei sopravvissuti e di pochi altri, tragico errore verificatosi una volta per tutte e mai più. No: a conoscerlo un minimo si capisce bene che "il caso Vajont" ha tanto da insegnare a noi italiani e, semmai sia possibile trarre qualcosa di buono da una tale tragedia, allora è adesso (e sarà sempre) il momento giusto per farlo. 
Dunque cosa ho capito di questa tragedia?
Prima di tutto che il Vajont non è stata una "catastrofe naturale" ma un vero e proprio "eccidio" come peraltro denunciò subito chi ebbe modo di conoscere da vicino alcuni dei dirigenti della "SADE" (la società che che costruì la diga) e come ci ricorda oggi chi, memore di quella consapevolezza, si è deciso a parlare. Tutto il libro della Merlin è un'accorata testimonianza degli sforzi che ella fece per aiutare gli abitanti di Erto e Casso,"montanar, cuntadin, gnuranti", come li definisce Paolini, a far valere i propri diritti. Loro quella diga non la volevano, in principio perché la sua costruzione avrebbe comportato l'allagamento dei terreni su cui sorgevano le loro case e che coltivavano, poi perché iniziarono a vedere che il monte Toc si stava muovendo come mai aveva fatto a memoria d'uomo. Ma a nulla valsero le loro proteste, la società costruttrice arrivò persino all'esproprio forzoso creando conti bancari sui quali accreditò le somme che dovevano "risarcire" i proprietari dei fondi. L'Italia di quegli anni aveva bisogno più che mai di energia elettrica. Tutto il resto passò in secondo piano.
Ora, mi rendo conto che il paragone farà storcere il naso a molti ma quando penso alle proteste della gente del Vajont non posso fare a meno di pensare ai no TAV. Certo le opere in questione sono molto diverse tra loro come pure i rischi legati alla loro realizzazione tuttavia siamo, anche qui, difronte ad un dissenso forte che invece di essere ascoltato e compreso, al limite mediato, viene ignorato bellamente nonostante ci siano decine di studi scientifici che denunciano la sostanziale inutilità dell'opera. 
Passano gli anni ma non cambiano le modalità con le quali il potere cerca di imporre le sue decisioni ai cittadini. Nessuno sembra essere disposto ad imparare dagli errori di chi ci ha preceduto anche quando sono grandi come una montagna, che sia essa franata o bucata.
Ma allora non si può trarre nulla di buono dall'eccidio del Vajont? Possibile che tutto il dolore scoppiato in quattro minuti e ancora vivo tra i sopravvissuti, tra i soccorritori, tra quelli che videro coi loro occhi e quelli che vedono solo adesso, non serva a niente?
E' comunque degno di nota e positivo che a distanza di cinquant'anni lo Stato chieda scusa e ammetta che la "tragedia" del Vajont poteva essere evitata ma questa ammissione diventa sterile e quasi offensiva se non la si cala nell'odierna realtà del nostro paese.
Ecco mi piacerebbe, perché sarebbe il modo migliore di rendere omaggio ai 1917 morti e ai loro parenti, che il Vajont non fosse solo un doloroso ricordo che tocca la nostra dimensione umana ma un vivo promemoria che dirige la nostra condotta civile.
Questo lo dobbiamo alle vittime di allora e ai sopravvissuti di oggi; questo sarebbe il modo migliore per onorare la memoria di quanti allora persero la vita per essersi fidati di uno Stato che non ha saputo garantire il loro diritto più grande.


Alle vittime del Vajont, ai loro familiari, ai sopravvissuti, ai soccorritori e a tutti coloro che vissero e vivono ancora un dolore troppo grande per essere sopportato da un essere umano.


2 commenti:

  1. cara camp, complimenti per questo tuo post che io condivido pienamente... Per quanto riguarda i no tav hanno frange troppe violente ed estremiste e io non amo mai questi eccessi... (anche a fronte del fatto che, come giustamente tu hai detto, la nuova strada non metterebbe in pericolo di vita alcuna persona).

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  2. Vero Plotina ci sono frange estreme ma questo modo di imporre le cose dall'alto e da lontano non aiuta a placare gli animi anzi radicalizza ancora di più il dissenso oltre a costituire un ostacolo per chi dissente in maniera civile e legale. Comunque, secondo me, il senso di tragedie come quella del Vajont continua a sfuggire a molti e questo è davvero un peccato.

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Ma dai, sei arrivato fin qui!!!?
Allora su: fai un altro sforzo...

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