Non sembra anche a voi che la musica sia una tra le migliori invenzioni dell'uomo?
venerdì 18 gennaio 2013
Ricreazione!!!
Orsù: alzate il volume
Non sembra anche a voi che la musica sia una tra le migliori invenzioni dell'uomo?
Non sembra anche a voi che la musica sia una tra le migliori invenzioni dell'uomo?
sabato 15 dicembre 2012
Ma un par di fatti vostri, mai?
Ci sono parole che, quando escono dalla bocca di un bambino, fanno un effetto sgradevole, al limite del volgare.
Da giorni ormai Matteo usa l'aggettivo "morto". Quando gli ho chiesto dove avesse sentito quella parola mi ha risposto: "all'asilo, la maestra mi ha detto che quando le persone vanno in cielo, come nonno L., moiono".
Ecco appunto: nonno L. morto un anno prima che Matteo nascesse e per questo, per reazione a questa cosa che ho sempre considerato un'ingiustizia, da sempre presente nelle nostre conversazioni. "Nonno L. è in cielo, non può tornare qui, ma dal cielo ti guarda sempre perché ti vuole tanto bene e quando fai le ninne lui viene a trovarti e con la sua macchina speciale che vola ti porta a spasso tra le nuvole".
Ogni tanto qualche accenno a chi era, alle tante cose che sapeva fare, alle sue passioni. Poco però, perché credo sia più giusto che a raccontare il nonno che è in cielo siano il papà, la nonna e gli zii di Matteo. Io mi limito a colmare un vuoto che l'assurdità di una morte non ancora accettata e metabolizzata rischiava di creare.
Sono infastidita da questa "ingerenza" della maestra. Mi si dirà che è normale, che i bambini prima o poi incontrano anche gli aspetti sgradevoli della realtà, che così crescono, che questa maestra, alla fine, mi ha fatto un favore, che poco importano le parole quando la realtà che esse significano è tanto incontrovertibile e definitiva.
Sarà, ma io questa tendenza a far scontrare i bambini, anche molto piccoli, col principio di realtà, non l'ho mai condivisa.
Mia cognata ha comprato a mia nipote (5 anni) un CD in cui viene spiegato come nascono i bambini. E' stato molto imbarazzante ma ho dovuto dirle che non lo facesse vedere a Matteo; il gigantino pensa ancora che i bambini li porti la cicogna. Suppongo che la prima volta che si accorgerà di una donna in avanzato stato di gravidanza, avrò molto da ingegnarmi ma inventerò qualcosa. Come quando mi ha chiesto cosa fosse l'ombelico e io: "Ti ricordi quando ti ha portato la cicogna? Lei ti teneva per una specie di cordicella attaccata al tuo pancino, prima di volar via l'ha tagliata e ha fatto un nodino, ecco quello è l'ombelico!".
Sui fatti importanti della vita bisogna dare ai bambini, ma anche agli adulti, spiegazioni che siano in grado di gestire non semplici parole, per quanto precise.
Quest'estate all'ennesimo discorso su nonno L. che sta in cielo, papà camp si è sentito porre da Matteo la seguente richiesta: "papà se nonno L. sta in cielo, allora prendiamo un aereo che va in alto, altissimo e andiamo a trovarlo!". Dove abbia trovato la prontezza di spirito per rispondere, non so (a me è venuto da piangere quando me lo ha raccontato e anche adesso che ci ripenso) ma papà camp ha replicato: "no Matteo, non possiamo andare a trovare nonno L. perché se si va in cielo poi non si può più tornare indietro".
Una bella esperienza quella chiacchierata tra padre e figlio, franca e senza menzogne pur non avendo mai usato la parola "morto".
sabato 24 novembre 2012
Assaggi di saggi: "S.O.S Economia ovvero la crisi spiegata ai comuni mortali" - Fabrizio Galimberti
"Ma se il cavallo non beve? Abbiamo ricordato più volte questa disperante eventualità. Tutto quello che può fare la politica monetaria è di mettere soldi a basso costo a disposizione di chi vuol spendere. Può curare un sistema finanziario malato, fare una diagnosi giusta e trovare una terapia efficace. Ma non può obbligare famiglie e imprese a spendere. Cosa fare, allora, se il cavallo non beve?
Semplice: bisogna portare all'abbeveratoio un cavallo assetato. Se non lo si trova fra i "privati", questo cavallo deve venire da un'altra scuderia, quella pubblica. Già nel Capitolo 7 ho scritto: - se famiglie e imprese non spendono, bisogna che qualcun altro spenda, altrimenti tutto si ferma: questo "qualcun altro" non può essere che lo stato -.
L'arma più diretta - le altre possono essere potenti ma sono indirette- per contrastare la recessione sta nelle entrate e nelle spese del bilancio pubblico. E più nelle spese che nelle entrate. Se si riducono le tasse, lasciando più soldi nelle tasche dei contribuenti, si rischia di ricadere nel problema del cavallo che non beve. Non c'è alcuna garanzia che le minori tasse diventino maggiore spendita dei privati. Invece, nel caso della spesa pubblica, la garanzia c'è per definizione. Riduzioni d'imposte e aumenti di spese costituiscono una politica di bilancio "anticiclica", detta così perché va a contrastare la tendenza spontanea del ciclo; nel nostro caso, la spirale recessiva che è andata avviluppando l'economia mondiale a partire dalla seconda metà del 2008.
Non mette conto fare la cronaca delle misure espansive che sono state adottate nel corso di questa crisi. Sto scrivendo in corso d'opera, e qualsiasi cronaca sarebbe ben presto incompleta. Basti dire che l'America è stata la prima e la più generosa (o la più avventata, secondo alcuni), ma anche in diversi paesi europei e asiatici i bilanci pubblici sono andati tingendosi di rosso. Le misure messe in opera in America sono massicce: il grafico 11 fa vedere come il deficit di bilancio previsto per il 2009 negli Stati Uniti sia più che doppio rispetto a quelli registrati negli anni del New Deal per contrastare la Grande Depressione (i successivi enormi deficit degli anni 1942-45 sono "fisiologici" in tempo di guerra).
Ci sono pericoli in queste misure espansive? Certamente si. Sono pericoli che vale la pena di correre ? Certissimamente si. Questa crisi, in cui sono confluite malattie della finanza e malattie dell'economia, è così brutta che bisogna correre al soccorso con qualsiasi mezzo; e delle conseguenze di questo "pronto soccorso" ci preoccuperemo dopo: a ogni giorno la sua pena. Questo non vuol dire, naturalmente, che bisogna ignorare i problemi che si potranno porre. Bisogna, al contrario, averli ben presenti, e disegnare le misure espansive in modo acconcio: così che abbiano la massima efficacia adesso, e causino il minimo danno in futuro. Ma quali sono questi problemi?"
Premessa: questo libro è stato stampato nel maggio 2009 dunque, necessariamente, esso non parla della crisi economica dell'eurozona che si è resa evidente, in Italia, solo a partire dalla seconda metà del 2011. Questo libro parla invece della crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti d'America tra il 2007 e il 2008, all'inizio conosciuta come "crisi dei mutui subprime" e che, della "nostra" crisi, può essere considerata uno dei fattori scatenanti.*
Per prima cosa fatemi dire che questo è un libro che realizza le aspettative che il lettore medio, digiuno d'economia, si fa leggendone il titolo: alla fine saprete tutto della crisi dei mutui subprime e in più vi sarete fatti una prima idea di cosa sia l'economia e di come essa funzioni.
Non so a voi ma a me, che a malapena conoscevo la differenza tra "debito" e "credito", questo sembra già un risultato notevole. Io che alla domanda di mio marito: "ma perché non stampano più soldi?" rispondevo scandalizzata: "perché altrimenti aumenta l'inflazione!" (senza peraltro averne ben compreso le ragioni), ho scoperto che il premio Nobel per l'economia Milton Friedman ipotizzò che, al limite, per far ripartire un'economia in recessione si potrebbe ingaggiare una flotta di elicotteri che lanciasse dall'alto sacchi pieni di soldi. Chiaramente una provocazione, nonché una soluzione poco equa, ma comunque uno spunto di riflessione sul fatto che, in economia, quando si tratta di superare una crisi, si può essere machiavellici.
Dicevo che leggendo questo libro i profani iniziano a farsi un'idea di cosa sia l'economia. La mia personale idea è che l'economia non sia una scienza come la fisica che sta lì ad aspettare che il genio di turno scopra le leggi che la regolano. L'economia è nata con l'umana invenzione dello scambio e si è evoluta per tentativi ed errori. Da questo punto di vista le crisi economiche sono eventi "normali" che saranno di volta in volta fronteggiati cercando di evitare errori già commessi in passato (uno degli errori della prima politica economica di Roosevelt, le prime due settimane della sua prima presidenza, fu quello di attuare riduzioni della spesa nel tentativo di realizzare il pareggio del bilancio pubblico, che era stato un tema della sua campagna elettorale; subito dopo tuttavia adottò una politica di segno opposto caratterizzata da una notevole spesa in deficit principalmente finalizzata alla realizzazione di opere pubbliche. Obama non ha mai ceduto all'argomento dell'eccessiva spesa pubblica e anzi, interrogato da David Letterman in piena campagna elettorale, afferma candidamente [dal minuto 4 circa] di non ricordare neppure con precisione a quanto ammonti il debito pubblico americano).
Lo sapevate che alcune nazioni hanno creato delle "bad bank"? Banche di proprietà dello stato nelle quali mettere in quarantena i famosi "titoli tossici" la cui permanenza sul mercato avrebbe potuto bloccare l'attività finanziaria e che, un giorno chissà, quei titoli potrebbero anche portare dei guadagni?
Per uscire da una crisi, insomma, si possono fare tante cose e Galimberti fa un'analisi puntuale di tutto ciò che il governo americano e la Federal Reserve hanno fatto. Già solo per questo, questo libro andrebbe letto: son cose poco comuni per noi europei abituati ai lacci e lacciuoli con cui il Trattato di Maastricht ha irretito l'azione della BCE (ma questo lo dico io, non Galimberti).
Ma se adesso mi metto a parlare di tutte le cose che ho capito leggendo questo libro va a finire che lo dovrò citare tutto. Faro meglio a dirvi perché, se come me siete ignoranti in economia, dovreste leggerlo:
Personalmente sono partita con una certa titubanza diventata timore di aver buttato i miei soldi già nell'introduzione, alla lettura delle seguenti parole: "Come tutte le crisi che si rispettano, questa ci tocca non solo e non tanto come notizia, ma anche e soprattutto come persone che la soffrono e ne soffrono. C'è chi non trova lavoro, chi l'aveva e l'ha perso, ci sono i precari cui non viene rinnovato il contratto, le famiglie che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, i produttori che vedono crollare gli ordini e i risparmiatori che vedono crollare i risparmi. Io, ad esempio, sono fra questi ultimi, ma, come economista, ho una strana consolazione: considero il gruzzolo che si assottiglia come un biglietto da pagare per assistere a uno spettacolo affascinante: il dispiegarsi di questa crisi, che mi attrae come un'eclissi di sole o un'aurora boreale [...] Un giorno la racconterò ai nipotini."
Debbo confessare di aver dubitato della salute mentale del Dott. Galimberti. Arrivata all'ultima pagina, però, ero ormai irreversibilmente contagiata dallo stesso interesse. E l'ho ricominciato daccapo. E poi l'ho consultato ancora e ancora.
Per essere il primo libro di economia che leggo direi che è stato un successo.
*Mi auguro che il dott. Galimberti voglia riscrivere questo libro integrandolo con la trattazione della crisi dell'eurozona, magari facendo un comparazione tra le strategie attuate dagli Stati Uniti e dall'Europa. Personalmente correrei ad acquistarlo.
Premessa: questo libro è stato stampato nel maggio 2009 dunque, necessariamente, esso non parla della crisi economica dell'eurozona che si è resa evidente, in Italia, solo a partire dalla seconda metà del 2011. Questo libro parla invece della crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti d'America tra il 2007 e il 2008, all'inizio conosciuta come "crisi dei mutui subprime" e che, della "nostra" crisi, può essere considerata uno dei fattori scatenanti.*
Per prima cosa fatemi dire che questo è un libro che realizza le aspettative che il lettore medio, digiuno d'economia, si fa leggendone il titolo: alla fine saprete tutto della crisi dei mutui subprime e in più vi sarete fatti una prima idea di cosa sia l'economia e di come essa funzioni.
Non so a voi ma a me, che a malapena conoscevo la differenza tra "debito" e "credito", questo sembra già un risultato notevole. Io che alla domanda di mio marito: "ma perché non stampano più soldi?" rispondevo scandalizzata: "perché altrimenti aumenta l'inflazione!" (senza peraltro averne ben compreso le ragioni), ho scoperto che il premio Nobel per l'economia Milton Friedman ipotizzò che, al limite, per far ripartire un'economia in recessione si potrebbe ingaggiare una flotta di elicotteri che lanciasse dall'alto sacchi pieni di soldi. Chiaramente una provocazione, nonché una soluzione poco equa, ma comunque uno spunto di riflessione sul fatto che, in economia, quando si tratta di superare una crisi, si può essere machiavellici.
Dicevo che leggendo questo libro i profani iniziano a farsi un'idea di cosa sia l'economia. La mia personale idea è che l'economia non sia una scienza come la fisica che sta lì ad aspettare che il genio di turno scopra le leggi che la regolano. L'economia è nata con l'umana invenzione dello scambio e si è evoluta per tentativi ed errori. Da questo punto di vista le crisi economiche sono eventi "normali" che saranno di volta in volta fronteggiati cercando di evitare errori già commessi in passato (uno degli errori della prima politica economica di Roosevelt, le prime due settimane della sua prima presidenza, fu quello di attuare riduzioni della spesa nel tentativo di realizzare il pareggio del bilancio pubblico, che era stato un tema della sua campagna elettorale; subito dopo tuttavia adottò una politica di segno opposto caratterizzata da una notevole spesa in deficit principalmente finalizzata alla realizzazione di opere pubbliche. Obama non ha mai ceduto all'argomento dell'eccessiva spesa pubblica e anzi, interrogato da David Letterman in piena campagna elettorale, afferma candidamente [dal minuto 4 circa] di non ricordare neppure con precisione a quanto ammonti il debito pubblico americano).
Lo sapevate che alcune nazioni hanno creato delle "bad bank"? Banche di proprietà dello stato nelle quali mettere in quarantena i famosi "titoli tossici" la cui permanenza sul mercato avrebbe potuto bloccare l'attività finanziaria e che, un giorno chissà, quei titoli potrebbero anche portare dei guadagni?
Per uscire da una crisi, insomma, si possono fare tante cose e Galimberti fa un'analisi puntuale di tutto ciò che il governo americano e la Federal Reserve hanno fatto. Già solo per questo, questo libro andrebbe letto: son cose poco comuni per noi europei abituati ai lacci e lacciuoli con cui il Trattato di Maastricht ha irretito l'azione della BCE (ma questo lo dico io, non Galimberti).
Ma se adesso mi metto a parlare di tutte le cose che ho capito leggendo questo libro va a finire che lo dovrò citare tutto. Faro meglio a dirvi perché, se come me siete ignoranti in economia, dovreste leggerlo:
- Questo è un libro scritto con chiarezza ed onestà intellettuale (se Galimberti ha delle convinzioni politiche personali, di certo non le troverete espresse qui).
- Questo è un libro dove anche i concetti apparentemente più semplici vengono comunque spiegati.
- Questo è un libro che spinge a porsi delle domande. Ad esempio: ma siamo sicuri che l'inflazione che investe una economia in crescita ha gli stessi effetti di quella che si verificasse in una economia in recessione? (Se qualcuno conosce la risposta a questa domanda è pregato di "rivelarmela").
- Questo è un libro che, come ho già detto, analizza una crisi economica ma nel farlo spiega i principi base che regolano l'economia e svela il lato interessante di questa scienza. Preso per mano da Galimberti il lettore viene accompagnato nei gironi infernali di una crisi che è abbastanza "vecchia" da essere stata studiata da schiere di economisti e, nondimeno, attuale al punto da avere avuto ricadute sull'economia di mezzo mondo, Europa compresa (ahimé!).
Personalmente sono partita con una certa titubanza diventata timore di aver buttato i miei soldi già nell'introduzione, alla lettura delle seguenti parole: "Come tutte le crisi che si rispettano, questa ci tocca non solo e non tanto come notizia, ma anche e soprattutto come persone che la soffrono e ne soffrono. C'è chi non trova lavoro, chi l'aveva e l'ha perso, ci sono i precari cui non viene rinnovato il contratto, le famiglie che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, i produttori che vedono crollare gli ordini e i risparmiatori che vedono crollare i risparmi. Io, ad esempio, sono fra questi ultimi, ma, come economista, ho una strana consolazione: considero il gruzzolo che si assottiglia come un biglietto da pagare per assistere a uno spettacolo affascinante: il dispiegarsi di questa crisi, che mi attrae come un'eclissi di sole o un'aurora boreale [...] Un giorno la racconterò ai nipotini."
Debbo confessare di aver dubitato della salute mentale del Dott. Galimberti. Arrivata all'ultima pagina, però, ero ormai irreversibilmente contagiata dallo stesso interesse. E l'ho ricominciato daccapo. E poi l'ho consultato ancora e ancora.
Per essere il primo libro di economia che leggo direi che è stato un successo.
*Mi auguro che il dott. Galimberti voglia riscrivere questo libro integrandolo con la trattazione della crisi dell'eurozona, magari facendo un comparazione tra le strategie attuate dagli Stati Uniti e dall'Europa. Personalmente correrei ad acquistarlo.
martedì 23 ottobre 2012
Farneticazioni mattutine
Questo è un post di sfogo solo che non ne ho ben chiari gli argomenti dunque è molto probabile che ne venga fuori qualcosa di vago, indefinito e vagamente lamentatorio quindi vi dispenso formalmente dai commenti (ma se vorrete farli vi benedirò dal profondo del cuore).
Sono nervosa e irritabile.
Si potrebbe pensare sia l'autunno che su certe tipologie di personalità fa sempre qualche effetto notevole. I primi freddi, le piogge, la luminosità diurna che diminuisce. Non fosse che non fanno che ripeterci che quest'autunno è insolitamente caldo e la gente la domenica va al mare come fossero i primi di settembre.
Saranno i problemi con Matteo. Macché! Ci vuole coraggio a dire che il gigantino crei problemi oltre a quelli naturalmente connessi al dover gestire, da sola, un concentrato di energia e voglia di giocare. Coi bambini è così: "tutti li vogliono ma nessuno se li prende", mai nessuno che si presentasse all'uscio di questa casa dicendo "tranquilla, rilassati un po', Matteo questo pomeriggio sta con me". Io poi non lascio trasparire nulla e non chiedo aiuto salvo poi, all'improvviso, adottare l'espressione "tieniti a una distanza di almeno due metri da me, è per il tuo bene" e cominciare a sbattere tutto quello che mi trovo per le mani. A quel punto però è già troppo tardi.
Ieri sera ho visto "La solitudine dei numeri primi", avevo letto il libro senza trovarlo tutto questo caso letterario che è stato. Il film invece mi ha colpita molto. In particolare il cambiamento fisico dei personaggi principali dalla prima giovinezza alla prima età adulta. Alba Rohrwacher (cui consiglierei senz'altro di cambiare cognome) in particolare è incredibile. Passare dai ventiquattro anni pieni di presunzione di forza e insicurezze controllate ai trentuno in cui ci si è fatti totalmente travolgere da tutto il dolore cui nel frattempo non si è riusciti a dare una spiegazione era difficile, lei è stata credibilissima. Insomma mi è venuta in mente quella frase di Svevo (mi pare) "la vita è una malattia" sempre mortale, aggiungerei. E il corpo registra infallibilmente le cicatrici che questo morbo ci lascia. Certo per alcuni la malattia è blanda ma altri ne verranno travolti e il loro corpo ne riceverà segni indelebili.
FINE PRIMA PARTE (tra un po' si pranza, arrivederci a quando potrò per le farneticazioni seguenti).
venerdì 12 ottobre 2012
Leonardo
Quando Matteo aveva poco più di due anni, sua zia gli regalò una canna da pesca giocattolo; mentre ci giocava col papà è accaduto un piccolo miracolo: papà camp se ne usci con questa frase: "Maatteo impugna la canna da pesca come faceva papà". Per farvi inquadrare la situazione dirò che mio suocero è morto più di un anno prima della nascita di Matteo.
Quando è nato mio nipote, io che non sono brava a riconoscere i tratti dei genitori nei neonati, vidi sul suo volto un'espressione caratteristica del padre.
I nostri figli, che ci piaccia o no, non sono nostre emanazioni esclusive, si portano dentro piccoli pezzi di tante altre persone. Amarli significa, quantomeno, voler bene a questi "altri".
Per dire che i principali responsabili del dramma del piccolo Leonardo sono i suoi genitori. Che poi la cosa si sarebbe dovuta fare in modo diverso, non c'è dubbio. "Zia come faccio?" ha urlato Leonardo mentre degli estranei lo trascinavano a forza via dalla scuola come si farebbe con delinquente. Che li assume a fare lo stato italiano gli psicologi, per fare che?
Ma dicevo che la colpa maggiore è dei genitori. Della madre che dopo due tentativi di prelievo forzato, ha permesso che si arrivasse al terzo e del padre cui vorrei tanto dire che non basta pranzare e cenare con un bambino che ha vissuto un tale dramma e poi metterlo a letto per sentirsi a posto con la coscienza.
Non ci sono argomenti che possano giustificare i "danni collaterali" della personale guerra che si stanno facendo.
Spero tanto che Leonardo possa recuperare un po' di tranquillità lontano da entrambi, spero che possa avere vicino adulti responsabili che lo aiutino a capire quello che è successo e il suo ruolo in questa storia.
Mi auguro che tutti quelli che hanno sbagliato in questa brutta storia abbiano la decenza, un giorno, di guardarlo negli occhi e di chiedergli scusa.
sabato 29 settembre 2012
Spannolinamento: ultima frontiera.
Ecco ci siamo: dopo due settimane di uscita alle 12.30 finalmente da lunedì all'asilo inizierà l'orario pieno. Per gli altri bambini, per Matteo no. Lui uscirà, come l'anno scorso, alle 13.30 per via del suo "problemino" con la cacca. Il fatto è che siamo finalmente riusciti a curare le ragadi, ormai fare la cacca è tornato ad essere un fatto normale, non è più una sofferenza, tuttavia di usare vasino o wc non se ne parla ancora. Poiché nella scuola materna non c'è una figura professionale tenuta al cambio del pannolino (anzi il bambino che la frequenta dovrebbe già essere spannolinato) e poiché l'ingresso ai genitori è consentito solo in via eccezionale per cambiare i bambini che eventualmente si sporcassero, non ci resta che uscire anticipatamente nell'attesa che Matteo si decida a compiere il grande passo. Diversamente rischieremmo di ritrovarci punto e a capo perché se Matteo avvertisse lo stimolo in orario scolastico, non avendo il pannolino, tornerebbe a trattenere la cacca. Quanto durerà questa situazione?
Non lo so e "francamente me ne infischio". Il fatto è che ho deciso di abolire totalmente ogni discorso sul tema e di attuare una "autogestione controllata" dello spannolinamento. Si potrebbe pensare che io abbia gettato la spugna, che mi sia arresa ai capricci e alle testardaggini di Matteo. Non è così. La realtà è che ho osservato attentamente Matteo: ogni volta che fa la cacca il merito non è mai suo; se in quel momento stava mangiando un biscotto allora "è stato il biscotto a far uscire la cacca", se poco prima aveva fatto una corsa allora "è stata la corsa", se il papà lo aveva messo sulla moto "è stata la moto" e via discorrendo. Non è mai merito suo, non è mai lui che la fa uscir fuori. Ancora fino a pochi giorni fa, quando appunto ho deciso di usare questa strategia, l'espressione del suo viso quando si rendeva conto che stava per farla era di paura mista a sgomento. E' stato allora che ho capito quanto per lui fare la cacca potesse essere difficile e quanta importanza avesse il pannolino, unico alleato, una sorta di salvagente, di talismano. E allora mi son detta "ma chi sono io per imporgli di farne a meno, che ne so io delle sensazioni e del disagio che il suo corpo gli trasmette?". Proprio ieri una delle maestre si lamentava di come anni fà i bambini fossero tutti pressoché spannolinati all'entrata nella scuola materna e parlava della necessità che i bambini raggiungano l'autonomia il più precocemente possibile.
A parte il fatto che la pediatra mi ha tranquillizzato sostenendo che non c'è nulla di cui preoccuparsi se un bambino di quasi quattro anni che ha avuto le ragadi indossa ancora il pannolino, ma siamo sicuri che si possa raggiungere l'autonomia per imposizione? E se un bambino non è interessato a farlo, è lecito sottoporlo a ricatti morali del tipo "finché porterai il pannolino sarai sempre un bimbo piccolo"? Non sarà invece che l'autonomia che ci interessa è la nostra, quella di noi genitori?
Ero immersa in questo tipo di riflessioni quando mi sono imbattuta in questo, sono dei consigli che alcune mamme della Leche League danno ad un'altra mamma con un problema di spannolinamento molto simile al mio. Ebbene sono rimasta colpita dall'espressione "svezzamento dal pannolino" che una di loro ha usato, perché ripensando al nostro svezzamento dal latte mi è tornata in mente la complessità e la lunghezza di quel percorso. Avrei potuto "velocizzare" il tutto sopportando qualche giorno di protesta disperata ma non l'ho fatto perché volevo qualcosa di più dolce e, soprattutto, di condiviso; mi interessava che Matteo avesse una parte attiva in questo nuovo modo di relazionarci. Alla fine penso di aver ottenuto ciò che volevo. Certo ci son voluti tanto tempo e tanta pazienza, cose che avevo allora e ho anche oggi. Ecco, l'unico aspetto positivo dell'essere una mamma a tempo pieno è che si può, il più delle volte (ma non sempre ché anche noi abbiamo i nostri problemi), rispettare i tempi dei bambini.
Allora basta con le sedute sul vasino, basta con i discorsi sulla cacca (a meno che non sia Matteo ad intavolarli), basta con le mie esigenze anteposte alle sue.
Ho deciso di dare fiducia a Matteo e di rispettare i suoi tempi. So che un giorno mi stupirà.
E quel giorno dalle finestre di casa nostra voleranno pannolini.
Evviva!
venerdì 7 settembre 2012
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