venerdì 13 aprile 2012

Degustazioni letterarie: "Bambini nel tempo" Ian McEwan

"Da giorni ormai sentiva il desiderio di fare un salto al negozio di giocattoli, a una decina di minuti a piedi dall'appartamento. Un'idea ridicola. Una sorta di parodia del lutto. La sofferenza volontaria che ne derivava lo faceva gemere ad alta voce. Si sarebbe trattato di una recita, la messa in scena di una follia non autentica. Intanto però il pensiero si faceva più insistente. Si trovava magari a passeggiare in quella direzione e immaginava il genere di cose che avrebbe comprato. Era pazzia, debolezza, gli avrebbe procurato un inutile dolore. Ma il pensiero continuava a crescere e una mattina, all'edicola, prese un rotolo di carta coloratada pacchi e la porse al commesso prima di avere il tempo di cambiare idea. L'acquisto di un giocattolo avrebbe distrutto due anni di adattamenti, sarebbe stato irrazionale, malato, autolesionistico e debole, soprattutto debole. Di quella debolezza che impedisce di conservare la linea di confine tra il mondo com'è e come si desidera che sia: non essere debole, si ripeteva, cerca di sopravvivere. Butta via quella carta, non franare nelle fantasticherie, non prendere quella china. Potresti non tornare più indietro. E resisteva, ma non poteva impedirsi di desiderarlo.
La solitudine aveva aumentato in lui la tendenza alla superstizione, alle interpretazioni magiche della realtà. Le pratiche superstiziose avevano finito con l'aderire ai cerimoniali quotidiani e, nel costante silenzio della compagnia di se stesso, si erano fatte sempre più rigorose. Si sbarbava sempre prima la guancia sinistra, non incominciava mai a lavarsi i denti se non aveva rimesso il tappo al tubetto del dentifricio, azionava lo sciacquone del water con la mano sinistra benché gli fosse scomodo e, ultimamente, faceva attenzione a poggiare entrambi i piedi a terra scendendo dal letto. Tale struttura magica del pensiero trovò modo di razionalizzare una visita al negozio di giocattoli.
Prima di tutto, avrebbe rappresentato un atto di fede nella sopravvivenza della sua bambina. Dal momento che di sicuro lei non avrebbe celebrato quel giorno, sarebbe stato come riconfermare la  sua precedente esistenza e reale discendenza, ribadire la verità circa la sua nascita: chissà quante bugie le avevano raccontato a questo proposito. L'osservanza di un mistero avrebbe scatenato ignote combinazioni del tempo e del caso, i numeri magici delle date di nascita si sarebbero messi in funzione producendo una serie di avvenimenti che, altrimenti, non si sarebbero mai realizzati. Comprando un regalo avrebbe dimostrato di non essersi ancora dato per vinto, di potere ancora mettere in atto qualcosa di sorprendente e di vivo. Lo avrebbe fatto con gioia anziché con dolore, nello spirito di un'affettuosa stravaganza e, portandolo a casa per impacchettarlo, avrebbe celebrato un'offerta al fato, o lanciato una sfida al destino: ecco qui, io ho portato il regalo, ora voi riportatemi la bambina. Se l'acquisto gli avesse procurato della sofferenza, sarebbe stata quella necessaria alla realizzazione di un sacrificio. Dopo aver esaurito tutte le possibilità sul piano materiale, battendo a tappeto le strade, pubblicando sui giornali locali inserzioni nelle quali offriva generose ricompense in cambio di informazioni, incollando ingrandimenti fotografici alle fermate degli autobus e sui muri, ormai aveva solo più senso agire a livello simbolico e oracolare, unirsi a quelle forze sconosciute che regolano le leggi della probabilità, che distribuiscono gli atomi rendendo solidi i corpi solidi, che mettono in atto gli avvenimenti fisici e compiono i personali destini di tutti gli individui. Del resto che cosa aveva da perdere?"



Immaginate di essere al supermercato con la vostra bambina di tre anni: è vicinissima, vi voltate un attimo a parlare con la cassiera e quando rigirate la testa, lei non c'è più. Voi la cercate dapprima con leggerezza, poi più   preoccupati, poi spaventati, poi disperati. E passano ore, giorni e mesi. Anni, addirittura, e di lei niente. Non so voi ma io non ci riuscirei mai.
Lo ha fatto, invece, Ian McEwan e in modo magistrale. La disperazione di un padre, Stephen, che si ritrova a vivere un'esistenza all'improvviso priva di significato, il suo viaggio doloroso e coraggioso, aggrappato al niente, verso l'accettazione del dolore e il ritorno alla vita. Già per questo varrebbe la pena leggere questo libro e tuttavia il motivo più importante sta da un'altra parte; uno potrebbe spaventarsi a pensare all'angoscia che uno scrittore alle prese con un tema così, ci riverserà addosso. E invece no: si prova empatia per questo padre, si soffre insieme a lui tuttavia se ne rimane sempre ad una distanza tale da non essere annientati noi stessi dal suo dolore. E' un chiaro intento dello scrittore: mentre il dramma del protagonista viene presentato senza omissioni o edulcorazioni, continuano a far capolino personaggi complementari o secondari, eventi apparentemente senza importanza, che ci distolgono dalla contemplazione del dolore. Solo alla fine ci si rende conto che ogni "pezzo" (anche le stranissime e apparentemente incongrue citazioni all'inizio di ogni capitolo) era proprio dove doveva essere affinché il lettore capisse che il senso ultimo di questo libro trascende il dramma umano del protagonista per offrire una bellissima visione dell'infanzia come risorsa primaria di ciascun individuo. 
"Child in time" non è la figlia perduta, lei anzi è immobile nel tempo, è invece il papà che torna continuamente alla sua infanzia e ne trae le risorse per "rinascere". Si può anche trovare il modo di attraversare il tempo a patto che ad attenderci ci sia qualcuno. Perché "Child in time" è anche l'amico del papà, disperato pure lui, che questo viaggio non è mai riuscito a farlo, rimanendo così irrimediabilmente privo del senso fondante la sua stessa vita.
Ne discende che non si "smette" mai di essere bambini, anzi l'infanzia è considerata il nucleo esistenziale essenziale di ogni individuo. Non a caso nel percorso di "rinascita" Stephen si affiderà al pensiero magico, alla creatività, alla corporeità e, soprattutto, alla ricerca dell'originaria accettazione da parte di sua madre.
Ma a cosa serve che io svilisca questo bellissimo romanzo, parlandone? Dovendo oltretutto stare attenta a non rivelarvi particolari che vi sciuperebbero il piacere di navigare a vista, secondo la vostra personale rotta.
Leggetelo perché questa è grande letteratura, leggetelo soprattutto se siete genitori.

4 commenti:

  1. E' vero, questo romanzo è bellissimo. Mi piace molto anche la figura del politico che torna a essere un bambino, con la moglie che si prende cura di lui come fosse il figlio.
    Ma è il finale a essere meraviglioso: senza parlarne, ovviamente, rappresenta un ritorno alla vita, dopo le rotte intraprese e che hanno condotto i protagonisti lontano da essa.
    Ciao, Cristiano

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  2. Si questo è davvero un gran romanzo, uno di quelli da cui si può imparare qualcosa dell'esistenza. Sei d'accordo che sia un grande inno all'infanzia oltre che alla vita? A forza di pensare da mamma, alle volte mi viene il dubbio di vedere bambini e cose di bambini da tutte le parti ma qui, davvero, ci sono. A presto Cristiano, ciao

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  3. non l'ho letto ma lo leggo, è un tema che mi sta a cuore quello delle esperienze vissute, in questo caso l'infanzia, che diventano risorse psichiche per affrontare momenti di crisi e di dolore.
    Io per esempio lo faccio...
    Hai scritto una bellissima recensione, complimenti!
    ciao
    (comincio subito a seguirti da subito)

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  4. Ciao ifruttirossi e grazie per il tuo commento anche se quello che ho detto del libro non rende neanche minimamente la sua bellezza. Davvero mi fa piacere averti fatto venir voglia di leggerlo perché è proprio questo lo spirito con cui racconto i libri in cui mi imbatto. A presto.

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