martedì 30 dicembre 2014

Il buon proposito

E vabbé: io proprio non ce la faccio a far passare le feste senza esprimere la mia grande tristezza. Ci avevo provato su consiglio di papà camp il quale mi aveva fatto notare: "ma ogni anno di natale devi scrivere che il natale ti angoscia, ma basta!". E così via il post deprimente, mi son fatta un'esame di coscienza considerando che sono molte le persone che faticano ad entrare nello spirito natalizio e che non è bello, a pochi giorni dalla festa in questione (la più sentita, la più bella, la più magica), riportarli dritti, dritti allo spirito del 2 novembre.
Ma è durato poco: il natale è passato, già si avvicina l'anno nuovo e con esso i buoni propositi che poi, siccome io non sono un tipo ambizioso, diventano "il buon proposito".
Dunque il mio buon proposito per l'anno nuovo mi è venuto in mente ieri sera mentre guardavo con Matteo (papà camp era a cena con amici, da cui il fatto che adesso dorme profondamente e che io posso star qui a scrivere, amen) "Alice in wonderland" di Tim Burton (film solo apparentemente per bambini); ebbene quasi alla fine, quando la protagonista deve decidere se combatterà o meno contro un terribile mostro per liberare i suoi amici dalla tirannia della regina rossa, non essendone per niente convinta, la saggia regina bianca le dice una cosa più o meno così: "non si vive per accontentare gli altri".
BUM!
E poi dicono che vedere la tv è diseducativo... 
Ecco per l'anno prossimo mi riprometto solennemente di vivere accontentando me stessa nella profonda consapevolezza che se uno sta bene va da sé che poi riesca a far star bene pure gli altri.
Certo detta così pare facile ma contestualizzando mi toccherà mostrare il peggio di me perché, e credo si sia ormai capito, io non sono una persona nella media. Non voglio dire di essere sopra o sotto (di che, poi?) ma diciamo che sto "spostata" rispetto alla media. Certo chiedendo a Matteo se è contento della sua mamma lui dice di si, e le mie amiche (ciao Fra) rimangono tali nonostante gli anni passino, per non parlare di papà camp (infatti: non ne parliamo) tuttavia ci sono aspetti del mio carattere che rimangono sconcertanti per molti: 
io non cerco le persone care per telefono, io non le invito a casa per pranzi cene o aperitivi, io non amo la vita sociale e dunque, sono completamente sprovvista della naturalezza di comportamento che normalmente l'essere umano dimostra nei rapporti con gli altri.
E ancora io tendo al pessimismo cosmico strategico (se ti aspetti sempre il peggio la realtà potrebbe rivelarsi più facile da affrontare) e non amo i facili entusiasmi, di norma ho una dotazione limitata di energia fisica e mentale, ne consegue che non sono molto capace di fingere: se sono arrabbiata o di cattivo umore se ne accorgono tutti anche se non dirò mai cosa mi turba e questo 
1. per non angosciare il prossimo mio e 
2. perché se a qualcuno interessa, allora può pure fare uno sforzo per arrivarci da solo. 
Sono fermamente convinta di aver vissuto, quando non avevo gli strumenti per capirle, situazioni che la maggior parte delle persone non riuscirebbe a immaginare nemmeno se gliele spiegassi; io le ho affrontate e, in qualche modo, ne sono uscita tuttavia questo ha bruciato per sempre buona parte della mia innata dotazione di allegria e spensieratezza. Su questo non transigo: chi s'azzarda a farmi pesare la mia sostanziale "seriosità" precipita dalla graduatoria delle persone cui voglio bene, unica eccezione: il vecchio saggio ( il quale peraltro si sarà nel frattempo smaterializzato e reincarnato in decine di esseri viventi e adesso vattelo a pesca dove potrebbe essersi cacciato).
Ho una serie molto limitata ma estremamente limitante di fobie che mai nessuno è riuscito a farmi superare: smettetela di pensare di essere il Freud di turno e lasciatemi vivere la mia imperfezione, chiamo io, in caso. 
Mi vesto come mi  pare e piace: gonna e tacchi l'ho indossati il giorno del matrimonio di mio fratello, se non c'eravate mia cognata sara entusiasta di mostrarvi le inconfutabili prove dell'evento. 
Matteo non è battezzato per i motivi che conoscete e se non li capite me ne farò una ragione, io ascolto i vostri tentativi di convincermi dell'opportunità di farlo: fa parte dei vostri doveri di buoni cristiani ma, per favore, evitate l'argomento "e se succedesse qualcosa?" perché prima o poi potrei farvi riflettere sul fatto che un dio che non avesse pietà di un bambino vittima delle condotte dei suoi genitori avrebbe poco di divino.
La lista è lunga e l'aggiornerò di sicuro (vedi stellocchietto come tutto è relativo: quella mamma di cui hai insomma una buona impressione, sarebbe ottima se giocasse un pochino di più con te, in realtà è un essere pieno di difetti ma con almeno il buon gusto di ammetterli) ma il succo del discorso è questo:
Io sono così, prendere o lasciare, me ne sono fatta una ragione, fatevela anche voi (mondo) se credete, altrimenti arrivederci e grazie, non mi mancherete, tanto io non sarò mai quella che per voi sarebbe più rassicurante io fossi. Questo è uno sforzo che, ragionevolmente, potrei fare per una sola persona al mondo ma, per mia fortuna, l'unico sforzo che lei mi chiede è di giocare un po' di più.
Buon anno.

sabato 13 dicembre 2014

Scusa

Ci sono momenti in cui anche una mamma come me, sempre autocritica e spesso dubbiosa, sente che le scelte che sta facendo sono giuste.
Ieri ci stavamo abbracciando, Matteo ed io; era da poco tornato da scuola quando all'improvviso si blocca e guardandomi fisso negli occhi mi dice:
"mamma ma quando mi scusi per stamattina?"
voi penserete "ma che bambino ben educato, avrà combinato qualche marachella e adesso starà cercando il perdono della mamma" ma, causa un improprio uso delle particelle pronominali (l'italiano è una lingua complessa anche per un bimbo che l'ascolta da più di sei anni e la parla da almeno cinque), state sbagliando.
Matteo ha usato un "mi" al posto di un "ti". Dunque quello che stava chiedendo era che IO mi scusassi con lui.
In effetti aveva ragione: la mattina ero stata un po' brusca perché stavamo rischiando di far tardi a scuola e, contrariamente a quanto faccio sempre, non mi ero scusata. A distanza di più di cinque ore lui me l'ha fatto notare!
Questa cosa mi ha riempita d'orgoglio: il mio bambino è capace di capire quando qualcuno non lo tratta con rispetto o peggio lo aggredisce (come avevo fatto io con la mia fretta) ed è capace di pretendere da questo qualcuno delle scuse.
Il fatto che ieri quel "qualcuno" fossi io, mi scalda il cuore.
Io non ho mai creduto nell'istinto materno o meglio non ho mai creduto che una donna, dal momento in cui apprende di star per diventare madre, subisca una metamorfosi che la trasforma istantaneamente in una buona madre. L'istinto materno non è la polverina magica di Trilly che ti permette di volare nei cieli limpidi e sereni della maternità. Buone madri si diventa, iniziando da prima che un figlio nasca e finendo quando si muore. E le difficoltà iniziano da subito. 
Nessuno come una madre (come ogni madre) sa che proprio lei è la persona che nutre la più forte ambivalenza nei confronti del proprio figlio, anche se sono in poche ad ammetterlo. Io l'ho ammesso subito; all'inizio mi sono colpevolizzata, poi, lentamente, ho scoperto che nulla di ciò che provavo era sbagliato e che fondamentale, per la salute mia e di Matteo, era imparare a gestire questi sentimenti.
Allora bando alla violenza fisica ma anche, nei limiti delle mie debolezze, a quella psicologica e, nel caso si ceda, chiedere seriamente e sinceramente scusa. 
Allora mostrare il proprio lato umano a un figlio, imparare a dirgli: "oggi per mamma è una giornataccia" piuttosto che provare a far finta di niente per poi crollare miseramente alla prima cosa che va storta. 
Allora chiedere aiuto e sostegno ai propri cari quando da soli non ci si riesce.
E infine guardare mio figlio chiedendomi: "è felice?" essendo felice con lui, se la risposta è "si" e sforzandosi di rispettarlo, se la risposta è "no" perché l'amore vince sempre.

A Veronica.  






mercoledì 19 novembre 2014

Amarezza

Questo è davvero uno strano momento: dicevo due post fa di quanto io debba a mia madre e adesso ho l'occasione di renderle in parte il favore.
Mamma si è infortunata, una caduta le ha provocato un'infrazione alla testa del femore per la cui guarigione è necessario un lungo periodo di assoluto riposo. E siccome io abito al piano superiore, va da se, che mi sia praticamente trasferita a casa sua. Sembrerebbe un cambiamento da poco non fosse che le nostre routine giornaliere sono tutte diverse col risultato che mi ritrovo a fare su e giù quaranta volte al giorno (il che ha anche aspetti positivi sulla mia forma fisica, come ha prontamente notato papà camp), a passare ore e ore a cucinare e a non avere più tempo da dedicare a me stessa.
Che stanchezza! Che stress! Che amarezza!
Si perché la mia non è mica una famiglia normale: sul fratello cugino celibe non ci si può contare che già avrebbe bisogno lui di una mano con la mamma zia; sull'altro fratello idem, alla di lui moglie che lavora dal lunedì al sabato e che la domenica deve riposarsi non potrei chiedere nulla, pena pericolose incrinazioni dei sacri vincoli familiari e, dunque, sono sola. Oltretutto coi soliti problemi di malattie, medici e ospedali.
Pensare che mi sono fatta centinaia di ragionamenti sul fatto che Matteo sia figlio unico, su quanto possa sentirsi solo e su quanto la sua vita risentirà di questa nostra scelta!
Mah!
Che amarezza.
Oltretutto tra poco sarà il compleanno di Matteo e per una volta che mi ero messa d'impegno, già da metà ottobre, a pensare e iniziare ad organizzare la sua festa di compleanno (perché me l'aveva chiesta lui, coi suoi compagni di scuola), ho dovuto abbandonare tutto. Dicevo che i supereroi non mi stanno molto simpatici e proprio io non sono fatta per tollerare alti livelli di stress. Poiché mi ero messa in testa di affittare la sala, preparare il rinfresco, organizzare l'animazione ho dovuto prendere atto che non ce l'avrei mai fatta. Ne ho parlato con Matteo: l'ha presa abbastanza bene (certe volte questo bimbo mi fa davvero preoccupare), penserò a qualcosa di speciale da fare noi tre quel giorno (sempre se trovo qualcuno che mi "sostituisca") che è poi il modo che io preferisco per festeggiare il compleanno di Matteo. 
Mi dico (in piena sindrome di Pollyanna) che questa è la cosa più giusta per me ma anche per Matteo, perché la vita è questa: spesso si mette di traverso e bisogna sapersi adattare. Pedagogia delle piccole cose.
Però che amarezza!
E quando le cose si complicheranno? Due genitori non più giovani e non in perfetta salute (ad essere precisi per papà si potrebbe usare l'espressione "sopravvivente per miracolo"), cosa accadrà?
Spero solo di fare in tempo a far crescere Matteo, con tutto il bene che voglio ai miei genitori, lui dovrebbe venire prima di chiunque altro.

P.S: per i motivi di cui sopra, non vi meravigliate e non vi preoccupate, cari preziosi lettori abituali, se in questo periodo non rispondo subito ai vostri commenti o se latito dai vostri blog: non ho davvero tempo ma ci sono e vi penso, tra un accudito e l'altro.




giovedì 13 novembre 2014

Il momento è storico

Addì 13/11/14, dopo lunga ed emozionante attesa Matteo ha perso il suo primo dentino da latte (incisivo centrale inferiore).
Attendiamo impazienti la visita del topino dei dentini sperando di sfruttare il momento per dare finalmente risposta alla domanda che ha tormentato la nostra infanzia:
ma sto topino con tutti sti dentini cosa accidenti ci fa?



venerdì 31 ottobre 2014

II° comandamento

Quella del contadino è una vitaccia; non importa l'impegno che metta nel suo lavoro perché in ogni momento il risultato della sua fatica è alla mercé di una forza troppo grande per essere tenuta sotto controllo: la natura.
Sarà per questo che Abele era il fratello buono e benevolo: lui di mestiere faceva il pastore!
Quest'anno la calamità naturale del momento si chiama bactrocera oleae che, complice l'estate umida e piovosa, ha recato danni anche in zone dove solitamente non ne faceva. 
Non è bello arrivare al momento della raccolta e ritrovarsi con olive bucherellate e striminzite, andare a cogliere (con tutta la fatica del caso) sperando non sia stato tutto sudore sprecato, guardare con sospetto questo liquido verde pensando a tutte le voci allarmistiche sulla sua qualità (addirittura c'è chi ha detto che l'olio di quest'anno sarebbe cancerogeno!).
Non è bello soprattutto dover rinunciare alla raccolta perché il parassita in questione ha reso l'olio immangiabile ma per fortuna non è questo il nostro caso. Avremo poco olio, sicuramente di qualità inferiore ma comunque edibile.
"'n'grazia a Dio" cioè "ringraziando Dio", come ha prontamente esclamato mia madre al ritorno dal frantoio, l'olio anche quest'anno l'abbiamo "rifatto", poco importa se a malapena basterà per tutta la famiglia: staremo attenti a non sprecarlo.
Se io dovessi scegliere una frase per descrivere mia madre, sceglierei "'n'grazia a Dio" non tanto per la frequenza quanto per la scelta dei momenti in cui lei la usa.
Tutto va male, stai perdendo finanche la voglia di reagire ma datele un valido motivo per pensare positivo ed ecco che mia madre affermerà "'n'grazia a Dio...".
Cara mamma, sempre qui tutti concentrati su papà, sui suoi problemi e i suoi drammi esistenziali, dando la tua presenza per scontata, operosa rammendatrice di trame consumate e di strappi apparentemente insanabili,
cara mamma, volevo dirti che hai fatto un gran bel lavoro e che quel poco di equilibrio mentale che mi ritrovo, di certo, lo debbo a te.
Cara mamma, 'n'grazia a Dio sei stata e continui ad essere una buona madre.
Grazie (a te, questa volta).







domenica 28 settembre 2014

I supereroi lasciamoli nei fumetti

Due domeniche fa, in piena ansia da "giorno prima del primo giorno della prima elementare del nostro primo figlio (seguirà, giusto il tempo di focalizzare meglio, specifico post sull'evento) così, tanto per stemperare l'ansia, abbiamo portato Matteo al pronto soccorso.
Il bimbo cresce in altezza e peso e, stavolta, il classico salto dal divano gli ha provocato un forte dolore al tallone destro. S'è subito capito che la cosa era degna di nota perché ha pianto, cosa che di solito non fa, anche quando prova dolore. Siamo subito intervenuti, papà camp ed io, col ghiaccio, abbiamo atteso circa mezz'ora ma il dolore non diminuiva e Matteo non riusciva a poggiare il peso sul piedino tanto da camminare in maniera sbilenca. Dunque abbiamo deciso di recarci al P.S. Siamo andati prima in quello dell'ospedale più vicino (per ora: si vocifera infatti di una sua chiusura) ma l'infermiera mi ha informato che le macchine per la radiografia erano rotte. Strano: tre sale radiografiche tutte inutilizzabili! Comunque dato che nel frattempo il dolore persisteva, ci siamo diretti all'ospedale del capoluogo. Siamo arrivati in P.S. alle 18.30 circa, ci ha accolto un'infermiera che ha aperto la cartella clinica invitandoci ad attendere nell'apposita sala. Così abbiamo fatto; debbo dire che Matteo è un bambino abbastanza paziente: ha iniziato a dare i primi segni di insofferenza solo alle 20.30, circa un'ora dopo rispetto al papà e alla mamma, i quali, anche in considerazione del fatto che ormai il bambino non sentiva più tanto dolore e aveva ripreso a camminare quasi normalmente, avevano deciso di aspettare al massimo sino alle 21.00. Invece, poco dopo ci hanno chiamato. Siamo entrati, il medico ha visitato il piccolo e ha valutato la probabile assenza di lesioni ossee ma ha tuttavia deciso per una radiografia, a suo dire, "dirimente". Ho accompagnato io Matteo in sala radiografia dove è stato accolto da un tecnico e un medico. Il medico ha visionato il piede quindi il tecnico lo ha invitato a sedersi sul lettino dell'apparecchio. Matteo ha eseguito ma rimaneva seduto quindi il tecnico l'ha apostrofato in maniera un po' rude invitandolo ad allungarsi. Allora con tono leggero ho detto:
"Non faccia così, altrimenti mi si spaventa e in ospedale non vorrà più metterci piede", e lui
"ah ma questa sarebbe una buona cosa, significherebbe che suo figlio sta bene" e io
"eh si, sarebbe proprio una bella cosa, magari!"
Ultimamente mi capita di dire o scrivere cose che vengono interpretate in maniera esattamente contraria a quello che volevo intendere. C'avrò Saturno contro, capita!
Fatto sta che il tecnico cambia completamente tono e inizia:
"si, perché la colpa non è dei bambini che giocano e si fanno male, la colpa è dei genitori che li portano subito all'ospedale per fargli fare esami inutili e dannosi, perché queste sò radiazioni, mica caramelle."
Giuro che ho pensato: "questo, o sta in astinenza da nicotina o è leggermente brillo" ma ho deciso di soprassedere però lui ha insistito:
"si perché i genitori sò contenti di portà i figli all'ospedale e se il medico gli dice -sta tutto a posto- loro ci rimangono male e pretendono la radiografia".
A quel punto ho perso la pazienza: "scusi ma non l'ho mica detto io al medico di fare la radiografia, sarei stata ben contenta di evitarla, ma se l'ha chiesta lui forse era necessario farla", a quel punto il medico radiologo alza gli occhi dal monitor e con sguardo comprensivo mi fa:
"purtroppo signora oggi spesso i medici prescrivono esami che potrebbero essere evitati per tutelarsi; è accaduto infatti che bambini nella situazione di suo figlio, dopo essere usciti dal P.S. senza aver effettuato radiografie si siano poi fatti male sul serio e i genitori siano tornati affermando che le lesioni non fossero state viste al primo accesso, lei capisce che una radiografia, in questi casi tutela il medico" e io:
"lo capisco ma questo non è un mio problema" e lui:
"in effetti no".
Dopo questo tentativo di distensione il medico si è alzato e se ne è andato in un'altra stanza e si poteva finirla lì invece il tecnico è tornato alla carica:
"i genitori di oggi sò tutti stupidi: non sanno riconoscere un problema serio da una stupidaggine" e io (tanto con me ce l'aveva):
"vede il fatto è che io non sono laureata in medicina e nemmeno in scienze infermieristiche e nel dubbio..."
"ma quale dubbio" incalza lui 
"forse suo padre quando lei era piccola l'ha portata in ospedale ogni volta che si è fatta male? E' che oggi a stì ragazzini gli date troppo spago".
"ah ecco" penso io "siamo difronte al classico modello pedagogico -cerca di non farti male sennò ti do pure il resto-, ma questo da dove è uscito oggi" ma invece dico:
"guardi che io in vita mia ho frequentato abbastanza ospedali da..."
"eh ma signora le esperienze nella vita possono rendere più intelligenti o più stupidi e nel suo caso..."
"...capire che sono ambienti da far frequentare il meno possibile ad un bambino ma tanto lei non ascolta quindi pensi quello che le pare".
Come è facile immaginare l'atmosfera si era fatta un tantino pesante e anche Matteo, nel frattempo sceso dal lettino, guardandomi preoccupato cercava di distogliermi dalla conversazione: "mamma abbiamo fatto? Ce ne possiamo andare, vero?".
"Si amore solo un attimo per mandare gentilmente a quel paese questo lavoratore pubblico indisponente e maleducato che pensa che io sia una madre degenere che proietta tendenze ipocondriache sull'incolpevole figlio"
"si amore non appena il signore ci autorizza".
"Ma si: vada, vada che non c'è niente come nell'ottanta per cento delle radiografie che vede qui" e, accompagnandoci alla porta: 
"io l'ho capito appena entrato che suo figlio non c'aveva niente, si vedeva da come camminava"
"le assicuro che due ore fa non camminava così"
 "eh vabbé"
Come volevasi dimostrare la radiografia era negativa; quando siamo tornati dalla sala radiografia il medico che aveva visitato Matteo non c'era: l'infermiera ci ha spiegato che l'aveva autorizzata a chiudere la cartella in caso di referto negativo, lui intanto stava visitando altri pazienti
"purtroppo deve pensare, da solo, ai codici verdi e a quelli gialli" e io, che avevo visto la sala d'attesa piena: 
"ma come fate a lavorare in queste condizioni?" 
L'infermiera molto seriamente e cordialmente (si vede che nel frattempo, Saturno s'era spostato) mi fa:
"che dobbiamo fare, signora? Lavoriamo più del dovuto e in condizione di forte stress. Io, quando torno a casa sono stanchissima e trascuro tutto, anche i miei figli; del resto, io devo riposare perché il mio lavoro richiede molta attenzione, non posso permettermi errori". 
Non ho trovato parole per rispondere, l'ho ringraziata e siamo tornati a casa
Anche il mio umore era nero e tale è rimasto per tutta la serata. La nottata, però, è peggiorato: avevo messo in preventivo la nottata in bianco ma perché era quella che precedeva il primo giorno di scuola di Matteo non pensavo che, invece, l'avrei passata ad interrogarmi sulle motivazioni che hanno spinto un perfetto sconosciuto ad aggredirmi gratuitamente.
Comunque dopo lunga analisi sono arrivata alla seguente conclusione:
il tecnico mi ha aggredito come ha fatto non perché sia un uomo interessato alla salute e al benessere dei bambini (lo dimostra la rudezza con cui ha trattato il suo piccolo paziente) nel qual caso avrei da rimproverargli solo il modo in cui si è espresso; no, il tecnico in questione era visibilmente scocciato dal dover affrontare una domenica di super lavoro per il fatto che il vicino ospedale aveva il reparto di radiologia bloccato. Probabilmente la rabbia del tecnico è aumentata quando ha realizzato che, se l'ospedale in questione venisse chiuso, non solo TUTTE le sue domeniche lavorative ma anche i giorni feriali, avrebbero potuto avere lo stesso ritmo.
Voi mi direte: "e tu che c'entravi?"
Io c'entro eccome perché va insinuandosi in molti italiani (tanto più in quelli che sono interni all'ambiente come il mio tecnico) la convinzione che se la sanità italiana in molte regioni non funziona bene è perché ci sono troppi sperperi: gente che assume medicinali come fossero caramelle, altri che, non sapendo come passare il tempo, intasano ambulatori e pronto soccorsi inutilmente, addirittura persone sane che, credendo nella prevenzione, vanno in ospedale ancor prima di ammalarsi! Naturale che poi le regioni non ce la facciano più e inizino a tagliare e chiudere.
Caro tecnico sei proprio sicuro che le cose stiano così?
A me risulta di no, infatti le spese sanitarie italiane sono inferiori alla media Ocse
fonte: http://ilmioblogdieconomia.blogspot.it/2012/12/liberismo-corrente-alternata-e-asili.html

e sono cresciute poco dal 2000 al 2010, rispetto ad altri paesi anche extraeuropei
fonte http://ilmioblogdieconomia.blogspot.it/2012/12/liberismo-corrente-alternata-e-asili.html

Dunque, carissimo, il tuo ragionamento non regge ma, siccome ti devo un favore (mi hai rovinato una giornata importante ma mi hai anche dato la possibilità di dimostrare a mio figlio cosa si deve fare quando qualcuno ci attacca in maniera ingiusta e gratuita), voglio fartene uno anche io:
tu hai detto che l'80% delle radiografie che hai fatto quel giorno erano negative; allora supponiamo che da domani questi esami scompaiano perché quelle persone, casualmente, sono tutte laureate in medicina, specializzate in ortopedia e affette da una mutazione genetica per cui posseggono la visione a raggi x. Insomma persone che possono fare a meno di recarsi in P.S.
Mi dirai "ma questa è fantascienza!", "ma questo non è il punto (e meno male per te)" ti risponderei, il punto è che se accadesse una cosa del genere il tuo lavoro si ridurrebbe dell'80% e se ciò succedesse anche ai tecnici delle altre tre sale radiologiche del tuo ospedale, avremmo un'utenza totale pari all'ottanta per cento delle utenze di una sola sala originale. 
Tu capisci che il direttore sanitario responsabile o l'assessore regionale alla sanità coscienzioso non potrebbero tollerare un simile spreco di risorse pubbliche.
Mi dirai: "ma io sono un dipendente pubblico!" giusto ma non so se te ne sei accorto: ultimamente si vocifera di abolizione dell'art. 18, di cambio di mansione, di obbligo di trasferimento entro 50 km, poi c'è il prepensionamento, rinunciando, va da sé, a straordinari e festività.
Vabbé, al limite, ci sono gli ambulatori privati anche se lì il datore di lavoro non gradirebbe un dipendente che si permettesse di dire la qualunque al paziente cliente.
Insomma carissimo tecnico l'idea che per salvare la sanità italiana bisogna tagliare è, come dire, densa di implicazioni non solo per i pazienti ma anche per i dipendenti.
"Allora" dirai tu "che fare?" e io, che in fondo sono una profana come te (anche se un tantino più lungimirante) ti rispondo con le parole di uno che di gestione di strutture ospedaliere se ne intende (tenendo in piedi ospedali d'eccellenza in tutto il mondo e finanziandoli solo con donazioni)


Non è tagliando che si risolveranno i problemi della sanità italiana, di chi ci lavora e di chi è costretto ad usufruirne. 
Fino a un po' di tempo fa consideravo i suoi colleghi degli eroi perché costretti a lavorare in condizioni difficili, oggi, francamente, li condanno: il loro lavoro è troppo importante perché possa essere svolto in condizioni di disagio; se commettono un errore le implicazioni potrebbero essere gravissime ergo hanno, avete, il dovere di rivendicare tutto quanto sia necessario perché il vostro lavoro venga svolto al meglio. 
Ma voi non lo fate, preferite lavorare male o sacrificarvi in maniera eroica. 
Ma questo paese è ormai fin troppo pieno di eroi laddove quello di cui avrebbe davvero bisogno è solo normalità.
Per finire la saluto con l'augurio che sempre rivolgo agli operatori sanitari che mi trattano male:
"se ti sentirai male e ti recherai in ospedale quando sarai in vacanza, lontano chilometri e chilometri dai tuoi amici e colleghi, ti auguro buona fortuna, ne avrai bisogno."


Addendum del 01/10/14: non sono io che sono pessimista, è la realtà italiana che funziona così perché non c'è più un euro, ma tagliare AUMENTA i problemi di dipendenti e pazienti:
guardate qui 





venerdì 5 settembre 2014

Al mare (la "bella gente")

Ci sono cose che accadono con frequenza decennale, le vacanze in casa camp sono una di queste e, quest'anno, l'evento si è verificato: siamo stati al mare, una settimana, giusto il tempo di scurirci un po' (al ritorno c'è stata gente che non mi riconosceva), in una casa in affitto (in albergo ci andremo quando saremo in pensione). 
Nonostante io non ami particolarmente il mare (mi viene sempre un po' difficile abituarmi a questo speciale ambiente carnevalesco che è la spiaggia) siamo stati bene, ci siamo divertiti e con un'altra settimana ci saremmo pure riposati ma il budget era esiguo e le ferie al termine. 
Matteo ha un rapporto col mare che ogni volta mi stupisce: sembra ci abbia vissuto dalla nascita, non si spaventa quando è agitato, non lo ferma l'acqua fredda, non è minimamente impensierito dal non saper ancora nuotare: deve aver ripreso da papà camp!
E sentirlo gridare "sono il bambino più felice del mondo!" non ha davvero prezzo!
"Ma" direte voi (che ormai mi conoscete) "dove sta il ma?".
Il "ma" c'è e consiste nel fatto che le vacanze o si fanno in posti sconosciuti o in posti noti abitati da gente cui si vuole bene. Personalmente propendo per la prima ipotesi: vivere, anche pochi giorni, in un posto dove nessuno ci conosce è estremamente rilassante, ci si sente più leggeri, si può giocare a fare gli "altri", si guarda in faccia la gente senza porsi il problema di interessarsene. Questa si che è vacanza!
Invece noi abbiamo scelto di cercare casa in una località di mare frequentata molti mesi l'anno da mia cognata e dal suo compagno vuoi perché ci hanno aiutato a trovare la dimora, vuoi perché per Matteo mare = zia, che gli anni passati l'ha spesso ospitato.
Mia cognata e il suo compagno sono stati deliziosi: hanno trovato del tempo per stare con noi, pur non essendo in ferie, si sono dedicati a Matteo (è una fortuna avere una zia come mia cognata) e ci hanno dato una serie di consigli su usi e costumi del posto.
Tuttavia, probabilmente in un eccesso di ospitalità, hanno commesso una gentilezza di troppo presentandoci alla "bella gente" che un po' per lavoro, un po' per piacere sono soliti frequentare.
Cosa intendo per "bella gente"?
Trattasi della elite occupante i più bei lidi del luogo,
sempre bella (ché la bellezza se non ce l'hai ormai la puoi pure comprare),
sempre allegra (ché i soldi, si sa, non fanno la felicità ma aiutano parecchio nel trovarla),
sempre in affari (nonostante la crisi dilagante o forse proprio grazie ad essa) ché un buon investimento non bisogna mai farselo scappare (non c'è vacanza che tenga),
sempre ben fornita di sorrisi di circostanza e risate (rigorosamente a denti stretti) da distribuire anche a noi, visibilmente di un altro livello sociale.
Potrei continuare ma credo di essermi spiegata tanto più che già solo a considerare le qualità fin qui elencate a me è venuta l'orticaria.
Mamma mia che disagio con i miei costumini vecchi di dieci anni (seppur in buono stato per il minimo utilizzo), le mie mises vero radical chic e la mia totale impossibilità di partecipare a scambi di opinione su mete turistiche nazionali e internazionali alla moda!
Vabbè: avranno pensato (non discostandosi troppo dalla realtà) "questa qui è un po' asociale" ma rimane il fatto che a me 'sta "bella gente" m'ha rovinato le vacanze: io che ancora speravo che quando la crisi fosse arrivata a colpire questa tipologia di persone, le cose sarebbero cambiate iniziando ad andare per il verso giusto, ho potuto verificare che questo non accadrà mai. La "bella gente" non è minimamente lambita dai venti di crisi che sferzano la "pora gente" e anche se lo fosse, non ha la minima preoccupazione essendo in essa radicata la convinzione che, ciò che ha, se l'è guadagnato, faber est suae quisque fortunae" e tanto peggio per i mediocri e (appunto) per gli sfigati.
In questa gente non c'è pietà, non c'è solidarietà solo un minimo di disagio estetico per le masse di vacanzieri che affollano le spiagge amene coi loro pranzi al sacco e gli ombrelloni da balcone.
Hai ragione tu, papà camp, "sei più signore tu di tutti questi imballati di soldi che non sanno più che farsene e che, tuttavia, evadono le tasse per principio" (sono felice che tu me l'abbia detto prima che io te lo dicessi, anche se l'ho sempre pensato) e ti ringrazio per avermi regalato questa vacanza ma l'anno prossimo, se dio vuole, la meta la decido io.






martedì 12 agosto 2014

Testamenti

Quando muore una tal persona si rimane sempre un po' perplessi se poi muore in agosto, la tristezza aumenta e di sicuro fornisce un motivo ulteriore per scrivere un post come questo, tanto più che è da un po' di tempo che ci penso.
Insomma: sono quasi quattro anni che ho aperto questo blog e che ci scrivo, con frequenza bassa e altalenante, ma ci scrivo.
Spesso mi sono interrogata sul senso di questa mia attività "parallela e segreta" (al di fuori di papà camp, e della mia più cara amica, che peraltro l'ha appreso da pochi giorni, nessuno sa che ho questo blog). I miei pochi lettori fissi non sanno chi io sia e forse non lo sapranno mai per quanto io comunichi loro i miei pensieri  più intimi ricevendone, spesso, spunti di riflessione che neanche chi mi "conosce" da una vita riuscirebbe a donarmi.
Grazie cari miei lettori: i vostri commenti sono graditi e preziosi ma se anche voi non ci foste, continuerei a scrivere.
Difatti, principalmente, io scrivo per me e per Matteo; scrivo, quando l'emozione è ancora limpida e chiara nella mia testa, di cose che un giorno vorrei poter raccontare vividamente al ragazzo o all'uomo che sarà.
Per questo giorni fa ho fatto a papà camp il seguente discorso:
"Amore mio ho una cosa importante da dirti ma tu non ti sconvolgere, ti prego.
Dunque, carissimo, in caso di mia morte improvvisa e prematura ti prego di stampare, in duplice copia, tutti i post del mio blog e di rilegarli. Provvederai poi a inserirne una copia nella mia bara mentre l'altra la consegnerai solennemente a Matteo nel momento in cui riterrai giusto farlo. Queste è ciò che ti chiedo, ti prego di prendermi sul serio."

Bisogna dire che papà camp era talmente serio da aver avuto la lucidità di ripondermi:
"Ma scusa della tua copia che te ne farai, pensi che da morta ti verrà voglia di leggere?".

Al che io:
"Vabbè ho capito: alle stampe ci penso io che già non ti vedo molto convinto e poi in certe circostanze ci si deve occupare di un sacco di cose e non vorrei che non avessi tempo per ricordarti delle mie ultime volontà".

E qui il discorso è terminato ché papà camp è avvezzo a questo genere di comportamenti e col tempo ha capito che è meglio (per lui ) soprassedere.
Dunque d'ora in poi inizierò a  stampare in duplice copia e gelosamente custodire tutto ciò che scriverò sul blog e dovrò pure trovare il tempo di stampare i post precedenti, fortuna che non sono molti e pazienza per la carta impunemente sacrificata sull'altare della mia immotivata presunzione: del resto se ogni anno si sprecano tonnellate di carta patinata per migliaia di aspiranti politici...
Bisogna essere realisti: la vita è complicata, la gente muore ogni giorno e, forse perché frequento troppo ambienti medici, comincio a non sentirmi molto bene.

Caro gigantino eccola qui, la tua mamma: sempre a pensar male; e adesso novello diciottenne, in viaggio di nozze o magari (non ho ancora deciso) avendo appena conosciuto il tuo primo figlio, starai sicuramente ridendo di me ma, sai, la vita è strana e bisogna essere previdenti.
Spero si capisca, caro Matteo, l'amore, l'energia, la pazienza e l'umiltà che ci ho messo ma, soprattutto, il grande regalo che sei stato per me.
Spero di esser stata una buona madre.
Per eventuali risposte (non richieste ma gradite) puoi passare quando vuoi o, nella peggiore delle ipotesi, sussurrarle al cielo in plenilunio.




mercoledì 16 luglio 2014

Estate

Da qualche giorno Matteo continua a parlare del suo Dojo: ha disegnato un progetto e contattato personalmente "zio Gino" (lo zio costruttor-riparatore) per definire l'inizio dei lavori e il suo svolgimento ed è tutto preso dalla sua "scuola di arti celesti".
All'inizio ho lasciato correre, tra il divertito e il compiaciuto, pensando che gli sarebbe passata come gli è venuta, questa fissazione. Ma i progetti e i discorsi continuano e, a malincuore, sto svolgendo il compito forse più sgradito a qualsiasi genitore, quello di custode e divulgatore del principio di realtà. E allora orsù coi tipici discorsi sull'età, sui costi, sui permessi (se, in questo Paese, burocrazia deve essere allora meglio iniziare subito a parlarne), sull'opportunità, ecc.
Pensavo questa cosa del dojo fosse positiva considerando che, solo fino a pochi mesi fa, Matteo mi diceva che non sarebbe andato via da casa nemmeno da "grande" (e se state pensando che questo bimbo io lo prendo troppo sul serio: è vero, avete ragione...) e che nella nostra casa ci potevano stare anche sua moglie e i suoi figli (...lo prendo sul serio perché mi fa troppo divertire) e invece...
E invece semplicemente Matteo ha bisogno di allontanarsi da casa perché, in questo momento, l'aria che vi si respira è pesante.
"L'estate da noi non è mica un periodo felice..." dice il mitico e infatti siamo sommersi dai soliti problemi, con in più il caldo e la noia.
Del resto è colpa mia: passi mio padre coi suoi problemi di salute per cui ogni tac, pet o analisi diventa un rebus di non facile soluzione; ma la zia anziana (madre di mio fratello) e il suo intervento di cataratta, e l'altra zia (mamma della cugina che, per me, è la sorella che non ho mai avuto) e il suo mieloma multiplo fresco di diagnosi, cosa c'entrano con Matteo?

Carissimo gigantino, la tua mamma è così: proprio non riesce a far finta di nulla, non che non ci abbia provato ma, quelle rare volte, ha constatato che, se fa finta di non vedere un problema quello, poi, diventa più grande e vanifica l'apparente tranquillità di cui aveva goduto fino ad allora.
Tu mi diresti, potendo, che non è giusto perché questa è, probabilmente, la tua ultima estate davvero senza pensieri, l'ultima da infante prima che anche tu venga sommerso dai tuoi impegni, di bambino certo, ma pur sempre impegni.
Io ti risponderei, volendo, che hai perfettamente ragione tanto più che ben mi ricordo di quella volta in cui il vecchio saggio mi disse:
"i genitori bisognerebbe imparare a mandarli a quel paese il prima possibile". Ma questo è una cosa che, più che dirti, preferirei insegnarti.
Il fatto, caro Matteo, è che non viviamo su una montagna e i problemi di chi ci è vicino, specie quelli delle persone a cui vogliamo bene,  finiscono spesso col coinvolgerci troppo.
Mi dispiace: vorrei dirti cose diverse e un pochino più ottimiste ma, per il momento, non me ne vengono in mente. 
Passerà anche questo periodaccio tu, intanto, goditi la tua cuginetta preferita, i vostri giochi e le vostre fantasie.
Tutto sommato, oggi è un buon giorno.


domenica 22 giugno 2014

Se questo è un lavoro

Anche se l'ultima volta non mi ha portato fortuna, ho da darvi una notiziona:

STO LAVORANDO!

Ma siccome sono un pochino scaramantica, vi do il lieto annuncio a pochi giorni dalla scadenza del contratto.
Le cose sono andate così: si era in febbraio e una sera mi chiama mio fratello (un uomo che per me è più di un fratello, difatti è anche un cugino) che fa l'autista di scuolabus, e mi chiede se potevo dargli una mano dal momento che l'assistente che lavorava con lui aveva bisogno di qualche giorno di stop per un'improvvisa malattia che aveva colpito sua madre. Più per fargli un favore che per altro, accetto; purtroppo le condizioni di salute della signora si sono dimostrate più gravi del previsto e la ragazza si è licenziata, dunque io ho preso il suo posto.
Funziona così: sveglia alle sei e un quarto, alle sette si parte e si inizia il giro dei bambini delle elementari. Io li aiuto a salire, vigilo che non si arrampichino sui sedili, che non inscenino incontri di pugilato, che non mangino (il soffocamento è una delle prime cause di morte tra i bambini), soccorro i malati e gli affetti da improvvisi malesseri (per lo più di natura psicosomatica) e, infine, li consegno a scuola sani e salvi. Quindi si ricomincia coi bambini della scuola dell'infanzia. Il tutto dura circa due ore. Poi torno a casa, dove mi aspettano le consuete attività domestiche, e riparto alle 13 per le elementari e alle 15 per l'asilo. Alle 16.30 circa ho finito. Amen.
Detta così è l'attività perfetta ma c'è qualcosa che mi sfugge, cos'è?
Ah si: Matteo!
Dio benedica le nonne delle mamme lavoratrici (anche part time)!
Non avrei nemmeno potuto pensare di lavorare (neanche part time) se non ci fosse stata mia madre ad occuparsi di Matteo. E così, mentre io ogni mattina do il buongiorno a circa sessanta bambini, lei lo dà all'unico a cui io vorrei sinceramente augurarlo. Per non parlare dei giorni in cui il piccolo è stato male, di quelli di chiusura dell'asilo, di entrata posticipata o di uscita anticipata: un vero percorso a ostacoli!
Giustamente Matteo all'inizio era scettico:
"Mamma perché vai al lavoro? Rimani con me."
"Amore ma mamma va al lavoro per guadagnare i soldini."
"Ma tanto se vai sul pulmino i soldini non te li da nessuno."
"Ma no amore, ti sbagli."
"No mamma: perché io ci vado tutti i giorni sul pulmino e a me i soldini non me li da nessuno."
La ferrea logica dei bambini.
Ma procediamo con ordine.
Dopo un mese di prova sono riuscita ad estorcere ottenere un contratto.
Tipico contratto part time, capolavoro di insigni giuslavoristi, politici e sindacalisti che dormiranno sonni tranquilli convinti di aver garantito un minimo di tutele a lavoratori che altrimenti non sarebbero stati tali o, al più, avrebbero lavorato in nero.
Bello davvero questo contratto se solo fosse tutto vero quello che c'è scritto. Nella realtà si finisce per andare a lavorare anche con trentanove di febbre e ad essere pagati solo per le ore effettivamente lavorate. Da questo punto di vista i mesi di aprile e maggio, tra festività, ponti, elezioni e gite scolastiche, sono stati un disastro.
Però intanto con questo "lavoro" perderemo le detrazioni per il coniuge a carico avendo io superato la fatidica soglia di 2840,51 euro di reddito LORDO annue.
Cose da pazzi, tanto vale lavorare in nero, simulare (ma neanche tanto) una condizione d'indigenza e ricevere il "giusto" sostegno standosene comodamente a casa!
Lavorare stanca e, nel mio caso, non paga.
Infatti aveva ragione Matteo, nella sua ignara ingenuità: ad oggi ho ricevuto solo un "acconto" pari a neanche due mensilità.
Mi dico che, nella mia situazione, non ho niente da perdere, a parte la fatica, e che comunque bisogna accontentarsi. Mi sembro la versione "italiana" della convintamente rassegnata Veronica


del resto cosa posso rimproverare al mio "donatore di lavoro": tra la concorrenza spietata, le tasse, la manutenzione dei veicoli, i ritardi nei pagamenti, le spese per i carburanti è chiaro che le retribuzioni dei dipendenti sono l'ultimo dei suoi problemi.
Sta di fatto che, come dice mio fratello (scapolo), "se uno con un lavoro del genere dovesse camparci una famiglia, starebbe fresco!".
Io posso permettermi di aspettare (perché il datore di lavoro di mio marito ancora ce la fa a pagarlo, anche se poco, ogni mese) e debbo aspettare, ché tanto c'è una fila così di gente che aspira a sostituirmi. Difatti, nonostante siano tutti soddisfatti di me, a settembre al mio posto ci sarà un'altra persona. Sarebbe un po' lungo spiegarvi perché, ma è sicuro.
Ecco, carissimi, vi ho appena illustrato, con parole semplici, quella che in economia si chiama "svalutazione interna" e che, dal momento che mi preme molto voi capiate quali cause e implicazioni abbia, vi chiarirò usando le parole del prof. Alberto Bagnai, autore del libro "Il tramonto dell'euro" che vi invito caldamente a leggere, nonché animatore del blog "goofynomics" che, pure, vi invito a seguire:

"Supponiamo che dagli Stati Uniti arrivi una raffica: la recessione globale. L'esempio non è scelto a caso: è quel che ci è capitato appena quattro anni fa. Cala la domanda mondiale, e quindi un Paese X vede diminuire le esportazioni (dall'estero comprano di meno), e si trova in deficit di partite correnti.
A questo punto i casi sono due: se il cambio è flessibile, si svaluterà naturalmente. Se invece il Paese ha un cambio fisso, l'aggiustamento è più doloroso e soprattutto più lento. Il calo della domanda estera, infatti, non può essere contrastato da un rapido adattamento del cambio. Dato che ora il prezzo della valuta è fisso, l'aggiustamento incombe sui prezzi dei beni, che sono più rigidi verso il basso, per un  preciso motivo: per diminuire i prezzi, occorre tagliare i costi, e in primo luogo quello del lavoro, cioè i salari. E' quella che oggi si chiama "svalutazione interna": la svalutazione del salario, alla quale è giocoforza ricorrere quando non si può svalutare il cambio.
Avrete intuito quale sia il metodo per far accettare questi tagli: reprimere diritti e garanzie dei lavoratori, in particolare aumentando la "flessibilità in uscita", grazioso eufemismo che indica la facilità di licenziare. Questa serve ad aumentare la disoccupazione, in modo che anche sul mercato del lavoro entri in gioco la legge della domanda e dell'offerta. Quando le persone che si offrono di lavorare sono molte più dei posti disponibili, i salari calano. Ma con il taglio dei salari cala la domanda interna, calano i redditi, e con la caduta dei prezzi, il valore reale dei debiti da rimborsare cresce. Del resto, la deflazione fa sì che il debitore guadagni di meno (tagli dei salari), ma non riduce l' importo contrattuale del debito, che quindi diventa più oneroso a mano a mano che l'aggiustamento va avanti. Questo vale anche per il governo, che a causa del rallentamento dell'attività economica vede ridurre le entrate fiscali e aumentare le uscite, ed è costretto a infierire con nuove tasse per mantenere i conti in equilibrio, il che, ovviamente, non migliora la situazione dei debitori privati.
Vi ricorda qualcosa? Si, è proprio  la stagdeflazione della quale parlava Roubini (2006). Stagnazione, perché l'economia rallenta; deflazione, perché prezzi e salari scendono. Perché succede? Semplicemente perché l'aggiustamento dei prezzi e dei salari, che dovrebbe rilanciare la competitività e far ripartire l'economia grazie alla domanda estera (esportazioni), uccide la domanda interna prima di riuscire a rilanciare quella estera. Questo è ciò cui stiamo assistendo nell'Eurozona, e il legame con  la rigidità del cambio dovrebbe essere abbastanza evidente.
Ecco, ora lo sapete: le leggi economiche non possono essere represse impunemente. Se sopprimete la legge della domanda e dell'offerta nel mercato valutario, inseguendo il sogno della stabilità del cambio, poi dovrete lasciarla agire sul mercato del lavoro, dove si presenterà come incubo della disoccupazione, o dell'emigrazione."
A. Bagnai, "Il tramonto dell'euro", Imprimatur, 2012, p.p. 79, 80.

Ecco uno dei motivi (magari fosse il solo) per i quali ce l'ho tanto con l'euro e perché vorrei che si diffondesse la consapevolezza generale che l'euro non è solo una moneta ma una precisa modalità di gestione economica e politica di un'intero continente, che sta portando ampie fette di popolazione sull'orlo del baratro.
A quelli di voi che stanno pensando che sono catastrofista ricordo che sono in buona compagnia, come i risultati delle scorse elezioni europee dimostrano, magari siete voi ad essere un tantino fuori dal mondo, pardon, dall'Europa.
Vi prego, per me e per voi, informatevi lasciando da parte i vostri pregiudizi: ne va del vostro benessere e di quello dei vostri figli. 
Di questo passo, un giorno, neanche troppo lontano, potreste essere voi a dire "se questo è un lavoro" e sareste ancora delle persone fortunate, perché potrebbe anche darsi il caso che il vostro lavoro lo perdiate. 
Questo è quello che sta accadendo, ogni giorno, a centinaia di italiani, questo è un destino che l'Italia non merita e che possiamo cambiare a patto di iniziare a guardare la realtà in maniera diversa, più pragmatica e realista.
Proviamoci.


sabato 3 maggio 2014

Amore mio

"Amore ma se ci pensi da due giorni potevi almeno farti la barba: pizzichi!"
"Amò la verità è che non mi andava: ero stanco."
"Va bene, ti capisco. Che poi tu sei l'amore mio: se non ti capisco io, chi ti deve capire?"
"E no, perché poi c'avevo la pelle secca e se mi facevo la barba mi tagliuzzavo tutto e poi pure il freddo degli ultimi giorni che mi ha irritato e comunque mi ero deciso ma poi ha squillato il telefono e ..."
"Ok amò, ti capisco, va bene però calma ché poi, più continui, meno ci credo."

Ecco, ragionevolmente, questo potrebbe essere amore. 






mercoledì 26 marzo 2014

VIII° comandamento


Sabato notte ho avuto grandi difficoltà ad addormentarmi (e in questo periodo non me lo posso proprio permettere): pensavo e ripensavo a quanto accaduto nel pomeriggio. Si era, Matteo, papà camp ed io, ad una festicciola di compleanno organizzata in un luogo che mi ispira spesso profonde riflessioni. Tutto nella norma: bambini festanti, genitori parlottanti, tavolo del rinfresco, musica allegra ed estrema confusione. Però in un angolo, semi sommerso da cappotti, sciarpe e cappellini, un oggetto che non poteva non attirare l'attenzione dei bambini: un biliardino cioè un tavolo per il gioco del calcio balilla; non di quelli da bambini, proprio uno grande, da adulti, con le sbarre che, spinte, si allungano verso l'avversario invece di rientrare all'interno del campo di gioco come nella versione per i piccoli. Alla sua vista subito un bambino mi ha chiesto il permesso di giocarci, io gli ho detto che doveva chiedere alla mamma della festeggiata, la quale, avendo a cuore prioritariamente la buona riuscita della festa, ha subito risposto di si. Mentre si radunava, attorno all'insolito oggetto, una folla di aspiranti giocatori (e io cercavo invano, quant'è asociale questo bimbo, di convincere Matteo a partecipare al gioco) le loro mamme si trovavano a pochi metri di distanza intente a cicalecciare del più e del meno. Persa ogni speranza di coinvolgere il gigantino, che invece aveva deciso di limitarsi ad assistere al gioco degli amici e a segnare il punteggio, ho deciso di rimanere a guardare anche io. 
Dalle prime battute mi è subito stato chiaro che, non solo i bambini non avevano una ferrea conoscenza delle regole del gioco (la squadra blu continuava ad esultare e a segnar punti nonostante la pallina entrasse nella sua porta, suscitando lo sdegno ilare di Matteo) ma che ignoravano gli aspetti "pericolosi" dello stesso. Allora, da brava mamma, ho richiamato l'attenzione dei piccoli (cinque, seienni) e dopo aver esposto sommariamente le regole del gioco col mio mio miglior tono didattico (autorevole ma non saccente) ho esordito: 
"Allora bambini, in questo gioco ci sono cose pericolose a cui fare attenzione: 
1. il campo di gioco, nel quale non dovete mai mettere le manine mentre si sta giocando, altrimenti qualche omino potrebbe sbatterci sopra, facendovi molto male. Quindi se avete bisogno di prendere la pallina, aspettate sempre che tutti i giocatori siano fermi.
2. Le sbarre. Vedete che se io spingo una sbarra in avanti, questa va verso il bambino che ho difronte? Ecco allora dovete stare attenti..."
Ma mentre così parlavo vedo con la coda dell'occhio una mamma, improvvisamente ricordatasi dell'esistenza di suo figlio, alzarsi dalla convention di cicale, avvicinarsi al biliardino e con gesto da vera prestidigitatrice, appropriarsi, non vista, della pallina. 
"ma guarda questa che stronza!"
"che la sbarra non vi sbatta contro, tenetela sempre d'occhio e mantenete un po' di distanza da lei"
"poveri bambini!"
"Allora bambini avete capito bene?"
"Si, si, si, si"
"Ok allora ricominciate"
Ricominciate una mazza: subito i poverini capiscono che la pallina è scomparsa; allora iniziano a cercarla dentro le porte, sul pavimento, nelle immediate vicinanze, finanche addosso agli incolpevoli amici esclusi dal gioco. Ma niente, a poco a poco iniziano ad accettare l'ineluttabile, per quanto inspiegabile, realtà: la pallina è scomparsa. Qualcuno trova subito altre attività, altri, tra cui Matteo, continuano a cercare. 
Io lo guardo è penso: "lascia stare Matteo non la troverai mai, la tua fatica non vale il prezzo del sapone che ci vorrà per smacchiare i pantaloni che stai invano sporcando su questo ormai unto pavimento". Però gli dico:
"ma questo è un mistero, eppure era qui!"
La mamma illusionista intanto mi rivolge un compiaciuto sguardo d'intesa, faccio finta di rispondere a qualcuno e mi giro dall'altra parte.
Basterebbe già questo e invece si è andati oltre: dopo circa dieci minuti la mamma ingannatrice ha fatto ricomparire la pallina ed ha iniziato a giocare con le colleghe cicale (evidentemente ormai rimaste a corto di argomenti). Come è facile immaginare i bambini, così vigliaccamente ingannati, hanno iniziato a protestare reclamando il loro diritto a continuare il gioco prematuramente interrotto. 
Cosa abbiano risposto le mamme non so: mi sono allontanata proprio per non saperlo (ma quant'è asociale sta mamma!) posso dire però che dieci minuti dopo erano ancora lì, i figli dispersi, a divertirsi.
Non è solo perché io posseggo abbondantemente quell'inutile qualità definita "sensibilità" che sono rimasta sconvolta da questa scena è anche perché sono un minimo intelligente e qualcosa ho letto anch'io.
Ho letto ad esempio di quanto sia importante l'imitazione nel bambino piccolo e di quanto, dunque, i genitori debbano impegnarsi ad essere il miglior modello possibile per i propri figli. E allora che modello è un genitore che inganna il proprio figlio? 
Non venite a dirmi, vi prego, che la mamma in questione ha agito come ha fatto per il bene del proprio figlio, nel tentativo di evitare che si facesse male. Suvvia: alla suddetta mamma, secondo me, importava ben poco del bene di suo figlio, quello che veramente le importava era evitare la scocciatura di un infortunio e le noie legate a probabilissime, insistenti proteste. E allora meglio tagliare la testa al toro evitando pericoli e proteste e pazienza se il piccolo rimarrà a domandarsi come possa un oggetto scomparire nel nulla.
Pessimo esempio: quel bambino crescerà e, se la sua mamma continua così, presto imparerà anche lui a mentire. Allora, se un giorno non avrà voglia di andare a scuola, piuttosto che parlarne con la mamma, uscirà di casa, come al solito, per andare a fare tutt'altro convinto che questa sia la scelta migliore: niente tensioni inutili, niente discussioni che potrebbero turbare la cara mamma.
Ma questo non è nemmeno l'aspetto peggiore della faccenda. La mamma che inganna il proprio figlio sta, oggettivamente, coltivando in lui un'attitudine ad essere ingannato. La pallina è sparita, dematerializzata, punto. Non protestare, non fare domande, rassegnati.
Mi si dirà che un giorno quel bimbo crescerà e, da adulto, saprà andar oltre, avrà un'autonomia di giudizio e di ragionamento che gli permetteranno di ingannare, se necessario, ma giammai di essere ingannato.
Sarà, ma come ho detto qualcosa io ho letto e mi son fatta l'idea che non esista un momento, o un periodo, in cui si smette di essere bambini e si diventa adulti; il bambino che siamo stati non ci abbandona mai e spesso si affaccia a guardare il mondo coi nostri occhi, a parlare con la nostra voce e a dar moto al nostro corpo. 
E mentre noi siamo tutti presi dalla nostra vita adulta lui sta ancora lì a pensare che, alle volte, gli oggetti scompaiono nel nulla.


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