martedì 30 dicembre 2014

Il buon proposito

E vabbé: io proprio non ce la faccio a far passare le feste senza esprimere la mia grande tristezza. Ci avevo provato su consiglio di papà camp il quale mi aveva fatto notare: "ma ogni anno di natale devi scrivere che il natale ti angoscia, ma basta!". E così via il post deprimente, mi son fatta un'esame di coscienza considerando che sono molte le persone che faticano ad entrare nello spirito natalizio e che non è bello, a pochi giorni dalla festa in questione (la più sentita, la più bella, la più magica), riportarli dritti, dritti allo spirito del 2 novembre.
Ma è durato poco: il natale è passato, già si avvicina l'anno nuovo e con esso i buoni propositi che poi, siccome io non sono un tipo ambizioso, diventano "il buon proposito".
Dunque il mio buon proposito per l'anno nuovo mi è venuto in mente ieri sera mentre guardavo con Matteo (papà camp era a cena con amici, da cui il fatto che adesso dorme profondamente e che io posso star qui a scrivere, amen) "Alice in wonderland" di Tim Burton (film solo apparentemente per bambini); ebbene quasi alla fine, quando la protagonista deve decidere se combatterà o meno contro un terribile mostro per liberare i suoi amici dalla tirannia della regina rossa, non essendone per niente convinta, la saggia regina bianca le dice una cosa più o meno così: "non si vive per accontentare gli altri".
BUM!
E poi dicono che vedere la tv è diseducativo... 
Ecco per l'anno prossimo mi riprometto solennemente di vivere accontentando me stessa nella profonda consapevolezza che se uno sta bene va da sé che poi riesca a far star bene pure gli altri.
Certo detta così pare facile ma contestualizzando mi toccherà mostrare il peggio di me perché, e credo si sia ormai capito, io non sono una persona nella media. Non voglio dire di essere sopra o sotto (di che, poi?) ma diciamo che sto "spostata" rispetto alla media. Certo chiedendo a Matteo se è contento della sua mamma lui dice di si, e le mie amiche (ciao Fra) rimangono tali nonostante gli anni passino, per non parlare di papà camp (infatti: non ne parliamo) tuttavia ci sono aspetti del mio carattere che rimangono sconcertanti per molti: 
io non cerco le persone care per telefono, io non le invito a casa per pranzi cene o aperitivi, io non amo la vita sociale e dunque, sono completamente sprovvista della naturalezza di comportamento che normalmente l'essere umano dimostra nei rapporti con gli altri.
E ancora io tendo al pessimismo cosmico strategico (se ti aspetti sempre il peggio la realtà potrebbe rivelarsi più facile da affrontare) e non amo i facili entusiasmi, di norma ho una dotazione limitata di energia fisica e mentale, ne consegue che non sono molto capace di fingere: se sono arrabbiata o di cattivo umore se ne accorgono tutti anche se non dirò mai cosa mi turba e questo 
1. per non angosciare il prossimo mio e 
2. perché se a qualcuno interessa, allora può pure fare uno sforzo per arrivarci da solo. 
Sono fermamente convinta di aver vissuto, quando non avevo gli strumenti per capirle, situazioni che la maggior parte delle persone non riuscirebbe a immaginare nemmeno se gliele spiegassi; io le ho affrontate e, in qualche modo, ne sono uscita tuttavia questo ha bruciato per sempre buona parte della mia innata dotazione di allegria e spensieratezza. Su questo non transigo: chi s'azzarda a farmi pesare la mia sostanziale "seriosità" precipita dalla graduatoria delle persone cui voglio bene, unica eccezione: il vecchio saggio ( il quale peraltro si sarà nel frattempo smaterializzato e reincarnato in decine di esseri viventi e adesso vattelo a pesca dove potrebbe essersi cacciato).
Ho una serie molto limitata ma estremamente limitante di fobie che mai nessuno è riuscito a farmi superare: smettetela di pensare di essere il Freud di turno e lasciatemi vivere la mia imperfezione, chiamo io, in caso. 
Mi vesto come mi  pare e piace: gonna e tacchi l'ho indossati il giorno del matrimonio di mio fratello, se non c'eravate mia cognata sara entusiasta di mostrarvi le inconfutabili prove dell'evento. 
Matteo non è battezzato per i motivi che conoscete e se non li capite me ne farò una ragione, io ascolto i vostri tentativi di convincermi dell'opportunità di farlo: fa parte dei vostri doveri di buoni cristiani ma, per favore, evitate l'argomento "e se succedesse qualcosa?" perché prima o poi potrei farvi riflettere sul fatto che un dio che non avesse pietà di un bambino vittima delle condotte dei suoi genitori avrebbe poco di divino.
La lista è lunga e l'aggiornerò di sicuro (vedi stellocchietto come tutto è relativo: quella mamma di cui hai insomma una buona impressione, sarebbe ottima se giocasse un pochino di più con te, in realtà è un essere pieno di difetti ma con almeno il buon gusto di ammetterli) ma il succo del discorso è questo:
Io sono così, prendere o lasciare, me ne sono fatta una ragione, fatevela anche voi (mondo) se credete, altrimenti arrivederci e grazie, non mi mancherete, tanto io non sarò mai quella che per voi sarebbe più rassicurante io fossi. Questo è uno sforzo che, ragionevolmente, potrei fare per una sola persona al mondo ma, per mia fortuna, l'unico sforzo che lei mi chiede è di giocare un po' di più.
Buon anno.

sabato 13 dicembre 2014

Scusa

Ci sono momenti in cui anche una mamma come me, sempre autocritica e spesso dubbiosa, sente che le scelte che sta facendo sono giuste.
Ieri ci stavamo abbracciando, Matteo ed io; era da poco tornato da scuola quando all'improvviso si blocca e guardandomi fisso negli occhi mi dice:
"mamma ma quando mi scusi per stamattina?"
voi penserete "ma che bambino ben educato, avrà combinato qualche marachella e adesso starà cercando il perdono della mamma" ma, causa un improprio uso delle particelle pronominali (l'italiano è una lingua complessa anche per un bimbo che l'ascolta da più di sei anni e la parla da almeno cinque), state sbagliando.
Matteo ha usato un "mi" al posto di un "ti". Dunque quello che stava chiedendo era che IO mi scusassi con lui.
In effetti aveva ragione: la mattina ero stata un po' brusca perché stavamo rischiando di far tardi a scuola e, contrariamente a quanto faccio sempre, non mi ero scusata. A distanza di più di cinque ore lui me l'ha fatto notare!
Questa cosa mi ha riempita d'orgoglio: il mio bambino è capace di capire quando qualcuno non lo tratta con rispetto o peggio lo aggredisce (come avevo fatto io con la mia fretta) ed è capace di pretendere da questo qualcuno delle scuse.
Il fatto che ieri quel "qualcuno" fossi io, mi scalda il cuore.
Io non ho mai creduto nell'istinto materno o meglio non ho mai creduto che una donna, dal momento in cui apprende di star per diventare madre, subisca una metamorfosi che la trasforma istantaneamente in una buona madre. L'istinto materno non è la polverina magica di Trilly che ti permette di volare nei cieli limpidi e sereni della maternità. Buone madri si diventa, iniziando da prima che un figlio nasca e finendo quando si muore. E le difficoltà iniziano da subito. 
Nessuno come una madre (come ogni madre) sa che proprio lei è la persona che nutre la più forte ambivalenza nei confronti del proprio figlio, anche se sono in poche ad ammetterlo. Io l'ho ammesso subito; all'inizio mi sono colpevolizzata, poi, lentamente, ho scoperto che nulla di ciò che provavo era sbagliato e che fondamentale, per la salute mia e di Matteo, era imparare a gestire questi sentimenti.
Allora bando alla violenza fisica ma anche, nei limiti delle mie debolezze, a quella psicologica e, nel caso si ceda, chiedere seriamente e sinceramente scusa. 
Allora mostrare il proprio lato umano a un figlio, imparare a dirgli: "oggi per mamma è una giornataccia" piuttosto che provare a far finta di niente per poi crollare miseramente alla prima cosa che va storta. 
Allora chiedere aiuto e sostegno ai propri cari quando da soli non ci si riesce.
E infine guardare mio figlio chiedendomi: "è felice?" essendo felice con lui, se la risposta è "si" e sforzandosi di rispettarlo, se la risposta è "no" perché l'amore vince sempre.

A Veronica.  






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